Tutelare la natura per difenderci dalle malattie, Report WWF

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La progressiva trasformazione ed eliminazione dei sistemi naturali – unita ad altri fattori quali il commercio incontrollato e spesso illegale di specie di fauna – contribuisce in maniera rilevante a facilitare il passaggio di organismi patogeni dagli animali all’uomo. Lo sottolinea il recente report del WWF dal titolo “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi”.

Tra le diverse malattie emergenti – secondo la definizione dell’OMS sono quelle malattie che compaiono per la prima volta in una popolazione o che erano già presenti ma assumono una crescita repentina per numero di casi o diffusione geografica – le zoonosi di origine selvatica potrebbero divenire una delle principali minacce per la sopravvivenza della popolazione mondiale, come già avvenuto diverse volte nella storia dell’uomo (si pensi ad esempio agli effetti della peste bubbonica, che nel Medioevo uccise un terzo degli abitanti dell’Europa).

Le malattie trasmesse da animali selvatici causano ogni anno milioni di morti ed elevatissimi impatti socioeconomici. Nel 2003 gli effetti della SARS – che contagiò circa 9.000 persone – hanno determinato una perdita economica stimata tra i 30 e i 50 milioni di dollari mentre per contrastare l’echinococco si spendono ogni anno circa 4 miliardi di dollari.

Recentemente numerosi studi scientifici hanno indicato come la distruzione di ecosistemi inneschi alcuni meccanismi che accrescono le possibilità di diffusione di malattie zoonotiche: la rarefazione di habitat naturali accelera il trasferimento di patogeni tra specie diverse, riduce le popolazioni di predatori, incrementa l’insorgenza di mutazioni genetiche indotte dall’uomo che rendono alcuni organismi potenzialmente più pericolosi (ad esempio la comparsa di batteri resistenti agli antibiotici).

Dall’altra parte la deforestazione e il cambiamento di uso del suolo aumentano le possibilità di raccolta di carne di animali selvatici (il cosiddetto bushmeat) e la crescente urbanizzazione crea nuovi ambienti – di dimensioni ridotte e a stretto contatto con insediamenti antropici – che vengono progressivamente colonizzati da specie che un tempo non entravano in contatto con l’uomo.

Tutti questi fattori hanno acuito i propri effetti a causa della globalizzazione, che ha amplificato la velocità e la portata dei trasferimenti di persone e merci. E la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente a seguito di ulteriori cambiamenti indotti dai cambiamenti climatici, ponendoci di fronte a nuove e più severe emergenze epidemiologiche. In questa prospettiva è di grande utilità il cambiamento di alcune abitudini alimentari, purtroppo spesso legate all’incremento di povertà. È estremamente importante, ad esempio, il divieto imposto in Cina al commercio di animali vivi a scopo alimentare.

Contemporaneamente, però, bisogna aumentare e rendere più efficaci le politiche di tutela delle aree naturali, in particolare delle grandi foreste tropicali. Ecosistemi in buono stato di conservazione e ricchi di biodiversità svolgono un ruolo essenziale per il contrasto alla diffusione di malattie.

Sono due i meccanismi principali alla base di questa capacità. Il primo, conosciuto già da tempo, è il cosiddetto “effetto di diluizione”: in un ambiente con una popolazione faunistica ricca è più probabile che un organismo patogeno sia ospitato da una specie non adatta, che funzionerà da “trappola ecologica” riducendo le possibilità di trasmissione. Viceversa in presenza di comunità con una ridotta biodiversità, si instaurano condizioni in cui prevalgono poche specie abbondanti, più esposte a contrarre e diffondere le infezioni.

Più di recente è stato messo in luce il cosiddetto “effetto di coevoluzione”: la riduzione degli habitat crea delle isole naturali in cui la coabitazione tra animali e organismi patogeni in spazi più ristretti aumenta il livello di diversificazione e la capacità di tali organismi di infettare l’uomo.

Una ulteriore dimostrazione, quindi, che impegnarsi nella tutela del Capitale Naturale e nel ripristino di ecosistemi, anche attraverso la creazione di nuove infrastrutture verdi, rappresenta il migliore investimento per garantire la sussistenza dei processi economici e la conservazione di adeguati livelli di benessere per la popolazione mondiale.

 

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