Target europei 2030: la timida proposta della Commissione

a cura di Andrea Barbabella

Il 22 gennaio la Commissione ha presentato la proposta (COM(2014)15) per un quadro di politiche europee su clima ed energia con orizzonte al 2030.

Si tratta del primo passo verso la definizione del nuovo pacchetto europeo, percorso che dovrebbe concludersidopo l’estate, dopo che si saranno espressi il Parlamento, già in febbraio, e i Capi di stato,a breve con il prossimo appuntamento del Consiglio di marzo. Il documento della Commissione si apre evidenziando i buoni risultati raggiunti. Nel c.d. scenario di riferimento,basato sull’ipotesi di una piena implementazione di tutte le politiche comunitarie esistenti in materia di clima ed energia, al 2020 le emissioni della Ue saranno più basse del 24% rispetto al 1990 e la quota di domanda energetica soddisfatta dalle rinnovabili potrà superareil 21%. Verranno così centrati due dei tre obiettivi del Pacchetto 20/20/20,mentrecome previsto non verrà rispettato l’impegno in materia di efficienza energetica.

 

Per il 2030 la proposta della Commissione fissa in estrema sintesi tre punti chiave:

 

1. un target vincolante per i singoli Stati membri di riduzione delle emissioni di gas serra pari al 40% rispetto al 1990;

2. una obiettivo minimo, vincolante solo a livello comunitario, del 27% di fabbisogno energetico soddisfatto con le fonti rinnovabili (che arriva al 45% nel settore elettrico);

3. una indicazione per un aumento del risparmio energetico al 25% rispetto allo scenario tendenziale, rimandando per la decisione finale alla revisione della Direttiva sull’efficienza prevista entro l’anno in corso.

 

Per quanto riguarda il target di riduzione delle emissioni di gas serra, la proposta della Commissione è in linea con la Comunicazione del 2011Una Roadmap 2050 per una economia a basse emissioni. Il documento identificava il percorso costefficient che avrebbe consentito all’Ue di rispettare, per la propria parte, l’impegno di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei +2°C rispetto al periodo preindustriale. Al 2030 la Roadmap della Commissione indicava unrange di riduzione delle emissioni del 40-44% rispetto al 1990, necessario per poter conseguire un taglio del 79-82% al 2050. Secondo molti osservatori, a cominciare dalle associazioni ambientaliste, si tratta di un target troppo poco ambizioso, che dovrebbe essere portato almeno al 55%, in linea con un percorso di riduzione delle emissioni serra al 2050 del 95%(valore chedarebbe maggiori garanzie di rispettare l’obiettivo della stabilità climatica). Nello stesso documento di Valutazione di impatto della Commissione, che prende in considerazione diversi scenari di policy, si osserva che, se da un lato la proposta del 40% significa passare da un target come quello del pacchetto 20/20/20, che prevedeva un taglio del 20% in trent’anni, dall’altro lato, partendo dal dato reale che vede l’Europa a -18% sul 1990 già al 2012, significherebbe molto più modestamente passare da un -18% in 22 anni a un -22% in altri 18 anni. Ovviamente un ragionamento lineare come quello appena illustrato èdecisamente poco verosimile, ma se a questo si aggiunge che nello scenario di riferimento della Commissione, a politiche attuali quindi, al 2030 le emissioni scenderebbero comunque del -32,4% rispetto al 1990, o che già dal 2011 gli stessi Ministri europei dell’ambiente e il Parlamento chiedevano di rivedere al rialzo il target di riduzione al 2020, portandolo al -25% o anche al -30%, non sembra proprio si possa parlare di una scelta coraggiosa da parte della Commissione.

 

Una considerazione analoga si può fare per il target sulle fonti rinnovabili. In primo luogo si tratta di un target sulla cui incisività pesa più di un dubbio. La Commissione, infatti, non prevede per questo target un meccanismo di burdensharing: si tratta quindi di un target vincolante per la Ue nel suo complesso ma nona livello di singolo Stato membro. Ciò viene giustificato dalla Commissione facendo riferimento necessità di garantire una adeguata per poter minimizzare i costi, lasciando che il mercato interno si orienti sviluppando le rinnovabili nei luoghi e con le tecnologie che garantiscono la massima efficienza economica. In realtà è difficile comprendere perché i singoli paesi debbano mettere in campo politiche attive, anche onerose, senza impegni vincolanti, oltretutto in un quadro fosco per i meccanismi comunitari, a cominciare dall’Ets (per il quale la Commissione propone una riserva di stabilità attiva solo dal 2021). Ancora di più in una fase come quella attuale in cui, come evidenziato nella Valutazione d’impatto, si moltiplicano i segnali poco incoraggianti a cominciare da interventi di carattere retroattivo sui meccanismi di sostegno alle rinnovabili, che a detta della stessa Commissione potrebbero mettere a rischio addirittura lo stesso target 2020. Oltre al carattere non vincolante del target, anche il valore in sé, una riduzione del 27% delle emissioni serra,desta qualche perplessità: basti pensare che secondo lo scenario di riferimento della Commissione, con le attuali politiche al 2030 si arriverebbe comunque a coprire il 24,4% del fabbisogno. In pratica la Commissione propone di mettere in campo misure aggiuntive per (almeno) un 2,1% di rinnovabili in più che, considerando in parallelo il risparmio energetico aggiuntivo comunque previsto, si traduce in valore assoluto in un sostanziale congelamento del trend business asusual. Per contro in Parlamento sono state portate diverse posizioni favorevoli a un target per le rinnovabili di almeno il 40% al 2030, con le associazioni ambientaliste che si sono spinte fino al 45-55%.

 

Per quanto riguarda l’efficienza, infine, l’indicazione della Commissione di portare il risparmio energetico al 25% al 2030 (rispetto allo scenario tendenziale) non è troppo distante dal 30% richiesto dalle associazioni ambientaliste e discusso all’interno del Parlamento europeo. Più del valore in sé lascia perplessil’aver rinunciato a presentare una proposta di target vincolante, rimandando il tutto al processo di revisione della Direttiva. Questo nonostante la stessa analisi della Commissione evidenzi chiaramente in più punti i tanti vantaggi dell’opzione efficienza energetica, a cominciare proprio dai costi economici della transizione che verrebbero ridotti anche rispetto allo scenario di riferimento. Scenario in cui il costo del sistema energetico è previsto aumentare in termini reali del 34% tra il 2011 e il 2030, principalmente a causa della dipendenza dalle fonti fossili di importazione. In questo contesto, peraltro, il criterio della minimizzazione dei costi richiamato spesso nel testo continua a non tenere conto delle esternalità: la riduzione dell’inquinamento atmosferico derivante dal minore uso di combustibili fossili (sia per la diffusione delle rinnovabili che dell’efficienza energetica) porterebbe a vantaggi sanitari stimati dalla Commissione in un range di 2.9-35,5 miliardi di euro (a seconda dello scenario).

 

Proprio quest’ultimo aspetto, quello dell’efficienza energetica, avrebbe dovuto spingere la Commissione verso una proposta più coraggiosa: dei tre target previsti dal pacchetto 20/20/20 è l’unico che non verrà conseguito al 2020 (nonostante la crisi economica che ha certamente giocato a favore), ed era anche l’unico a non essere stato reso vincolante per gli Stati membri.

 

Andrea Barbabella

Responsabile Energia e Reporting

Fondazione per lo Svilupo sostenibile

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