Il Summit della Nazioni Unite e l’’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

di Toni Federico

Chi non ricorda i 27 principi di Rio e l’Agenda 21? Si tratta di documenti che hanno segnato una generazione.

Il Summit della terra di Rio de Janeiro 1992 ha effettivamente innescato il mainstreaming dello sviluppo sostenibile (=>vedi) nelle politiche mondiali, ma, in fin dei conti, il fronte del cambiamento delle politiche e delle culture è avanzato con fatica e con risultati contraddittori, come di tutta evidenza è accaduto nella lotta ai cambiamenti climatici con le emissioni globali al +30% rispetto al 1990, invece che ridotte (Ronchi, 2015) o nell’erogazione degli aiuti allo sviluppo, tre circa contro il 7 per mille prescritto ben prima di Rio (OECD, 2014).

A fronte della ricchezza della visione dello sviluppo sostenibile di Rio, in questi venti anni abbiamo registrato una governance molto debole dello sviluppo sostenibile e il fiorire di diatribe, nella società civile e tra addetti ai lavori, spesso superflue rispetto alle portata visionaria dei documenti di Rio. Senza un’Agenzia globale per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, la sostenibilità è rimasta nelle mani di organismi di basso profilo, frequentati per lo più funzionari. Non è perciò riuscito l’incardinamento delle politiche mondiali dello sviluppo sui tre pilastri: economia società ed ambiente.

Nel 2000 i leader della terra fissarono in Assemblea Generale otto Millennium Development Goal (=>vedi), con precisi target e scadenza quindicennale, con un approccio essenzialmente di natura sociale esplicitamente rivolto ai paesi più poveri. Nel Rapporto di assessment 2015 degli MDG, che sarà l’ultimo della serie, vengono riconosciuti importanti progressi, in particolare nella riduzione della povertà estrema, dimezzata secondo gli obiettivi e, parzialmente, nell’accesso all’istruzione e alla salute. Ma, nella Conferenza finale di Oslo, il Segretario Generale ha dovuto ammettere che siamo lontani dagli obiettivi del Millennio nella gran parte dei casi e, gravemente, per il clima e il degrado ambientale. L’urgenza di ricomporre il quadro politico generale dello sviluppo sostenibile è stata la sfida principale di cui si è fatto carico il Summit di Rio+20 del 2012 (=>vedi). La risposta corre su due piani paralleli: ritrovare la coerenza tra economia società ed ambiente e ristabilire un quadro di governo globale per lo sviluppo sostenibile. La prima questione trova la sua soluzione nella green economy, un nuovo tipo di economia inclusiva, capace di crescere eliminando le emissioni di carbonio, ricostituendo l’ambiente degradato e assicurando più occupazione di qualità in un mondo percorso da crisi tutt’altro che congiunturali. La green economy, in uscita dal Summit di Rio+20 si è arricchita di ulteriori valori sociali laddove la transizione economica si prescrive che venga accompagnata dalla sconfitta della povertà e da un modello differenziato di sviluppo che tenga conto delle specificità di ogni popolo, delle capacità e dei livelli di sviluppo.

La complessa questione della governance dello sviluppo sostenibile, che non è solo un problema di equilibri interni alle Nazioni Unite, è stata risolta, almeno parzialmente, potenziando l’UNEP, rendendolo rappresentativo di tutti i paesi e potenziandone il finanziamento. Viene eliminata la vecchia CSD (=>vedi) e le responsabilità del governo viene affidata all’ECOSOC, il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, anche attraverso la costituzione di un High Level Political Forum, HPLF (=>vedi). Ma quel che più conta è che si decide di andare al compimento degli obiettivi del millennio (MDG) assorbendoli in un ulteriore piano per obiettivi quindicennale con la definizione di nuovi, concreti obiettivi integrati per lo sviluppo sostenibile, i Sustainable Development Goal (=>vedi). Di qui nasce l’Agenda 2030, approvata dalla 70° Assemblea Generale nel Summit ad alto livello sullo sviluppo sostenibile del 25-27 settembre del 2015. La nuova Agenda poggia sui principi già stabiliti da Rio in poi, ma li inserisce in un progetto di implementazione che si basa su 17 nuovi obiettivi (SDG), 169 target e una serie di prescrizioni operative (MOI) che deve andare a compimento entro il 2030.

La cronaca del Summit di New York e delle sue fasi preparatorie, (vedi i resoconti e la documentazione) registra una serie di otto sessioni negoziali di una settimana da gennaio a luglio del 2015 per preparare il Summit delle Nazioni Unite. La sessione finale di luglio discute il progetto di Agenda a partire dall’8 luglio per 24 giorni e licenzia il documento finale dal titolo “Trasformare il nostro mondo. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” (=>scarica l’Agenda) che contiene il preambolo, la dichiarazione, 17 SDG con 169 target, i mezzi di attuazione (MOI), lo schema per un partenariato globale e un quadro per il follow-up e il riesame dello stato di attuazione. L’Agenda 2030, nel testo di agosto, viene approvata per acclamazione in Assemblea Generale alle 11:46 di venerdì 25 settembre. Fanno seguito le dichiarazioni dei leader in plenaria e sei sessioni parallele di discussione tematica, due per ognuno dei tre giorni del Summit.

Precisamente:

– Porre fine alla povertà e alla fame nel mondo

– Affrontare le diseguaglianze, più potere per le donne e le giovani senza lasciare nessuno indietro

– La transizione verso una sustainable green growth e la promozione di modelli sostenibili di produzione e consumo. Questa sessione si è occupata in realtà poco di crescita quanto piuttosto di occupazione, parità di genere e diritti civili

– Rilanciare e attuare un partnership globale. La sessione chiede tra l’altro una compliance per il rispetto del 7 permille negli ODA

– Realizzare istituzioni efficaci e trasparenti per la governance dello sviluppo sostenibile.

Particolare rilievo ha l’ultimo dialogo sul clima: “Proteggere il pianeta e combattere il cambiamento climatico”, co-presieduto dal Presidente peruviano e da François Hollande. Nell’intervallo di questa sessione BanKi-moon ha promosso un lunch informale di un gruppo di capi di Stato e di governo per moltiplicare lo sforzo comune in vista della Conferenza di Parigi. Alla fine BanKi-moon ha detto alla stampa che i leader presenti hanno convenuto su un accordo che accelererà l’utilizzo dell’energia pulita, in linea con il percorso dei +2º C.

Nella discussione Hollande ha riferito che 80 INDC (=>vedi) sono stati ricevuti finora, e ha ricordato che tutti gli INDC devono essere ricevuti entro la fine di ottobre.

Nella discussione è emerso che:

– gli INDC presentati finora sono a basso contenuto di ambizione;

– la Conferenza di Parigi deve concordare un accordo giuridicamente vincolante;

– l’obiettivo dei 2 °C non è sufficiente.

Nella sua sintesi del dialogo, il co-presidente peruviano ha detto che i delegati chiedono coerenza tra le risposte al il cambiamento climatico e allo sradicamento della povertà. Egli ha sottolineato che la decarbonizzazione è una priorità per i paesi con i maggiori livelli di emissioni di gas serra, notando l’importante ruolo dell’energia rinnovabile e dell’efficienza delle risorse. Ha detto che la presentazione di piani nazionali ambiziosi di riduzione delle emissioni e mitigazione del loro impatto, sarà per tutti i paesi, un chiaro segnale che possiamo avere successo nei negoziati di Parigi. La volontà generale, ha concluso, è che di spuntare un accordo globale, ambizioso e giuridicamente vincolante, orientato a limitare l’aumento della temperatura a 2 °C o almeno al di sotto 2.5 °C.

Esaurite le dichiarazioni e i resoconti dei dialoghi, il Summit viene concluso formalmente alle 19:28 di domenica 29 settembre.

Dai discorsi in occasione del Summit, è stato chiaro che l’attuazione degli SDG è già iniziata; il senso di appartenenza al risultato negoziato si è trasformato in un vero e proprio impegno delle parti interessate per attuare l’Agenda 2030. Molti governi hanno riferito di aver già adottato misure per valutare con i loro ministeri come saranno attuati gli SDG. Altri hanno detto di aver fatto riferimento agli SDG mentre sviluppavano il loro INDC per affrontare il cambiamento climatico. Rappresentanti del settore privato hanno riferito di aver già iniziato a utilizzare gli SDG per loro proprie valutazioni di sostenibilità.

Dal marzo 2016 i 17 goal e i 169 target saranno integrati da un set di indicatori attualmente in fase di sviluppo da parte della Commissione statistica delle Nazioni Unite. Questi indicatori hanno il potenziale per verificare quali obiettivi sono sulla buona strada e dove dovrebbero essere spesi gli ulteriori sforzi. Quando gli indicatori non saranno disponibili, gli oratori hanno sottolineato la necessità di garantire un’appropriata capacità di ciascuno dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite di raccogliere i dati necessari. Alcuni hanno fatto riferimento a questo elemento di attuazione come data revolution e molti hanno notato che l’Agenda 2030 sarà incompleta fino a quando questo processo non sarà concluso.

Negli interventi, è stato ripetuto praticamente da tutti che la vera eredità del 2015 sarà chiara solo una volta conclusa la Conferenza sul cambiamento climatico di Parigi. Non è quindi sorprendente che molti governi abbiano voluto illustrare le loro ultime posizioni sul cambiamento climatico. Molti relatori hanno sostenuto la necessità di un accordo giuridicamente vincolante e molti piccoli stati insulari hanno ripetuto che si dovrebbe mirare a mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1.5 °C.

È di Nelson Mandela la citazione più ascoltata e più condivisa durante il Summit, quando diceva “A volte accade ad una generazione di essere grande“. Quello che è certo è che i partecipanti al Summit si sono detti consapevoli che l’Agenda 2030 rappresenta l’ultima possibilità per portare il mondo su un percorso sostenibile ed si sono caricati della responsabilità di lasciare ai loro figli un mondo migliore.

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