Una strategia per lo sviluppo dell’economia circolare

di Stefano Leoni

Negli ultimi tempi, a dispetto di chi intendeva affossare il pacchetto sull’economia circolare presentato a luglio scorso, l’Europa ha ripreso a discutere sulle politiche indirizzate al suo sviluppo.

Nel Parlamento europeo la maggioranza dell’Assemblea si è fortemente opposta al ritiro del pacchetto da parte della Commissione europea e non ha approvato la risoluzione sul programma di lavoro per il 2015. A ciò si è aggiunta la ferma critica di ben 6 gruppi su 7 alla proposta di ritiro del pacchetto.

Questi sono solo gli ultimi atti di un movimento eterogeneo che si è trovato suo malgrado a coalizzarsi. Vi rientrano, infatti, non solo le associazioni ambientaliste, ma anche categorie produttive, imprese pubbliche e governi nazionali. La pressione è, dunque, forte. La Commissione Junker ha dovuto mettere per iscritto – modificando l’originaria posizione che prevedeva il ritiro della proposta del luglio scorso perché non era prevedibile un accordo – che il ritiro viene effettuato allo scopo di sostituire, entro la fine del 2015, il pacchetto di luglio con una proposta nuova e più ambiziosa volta a promuovere l’economia circolare. Un significativo cambiamento, che attesta l’imbarazzo in cui si trova oggi la commissione.

Circa 10 giorni fa la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha proceduto a svolgere sull’argomento apposite audizioni di stakeholder. Dagli incontri è emerso un sostanziale sostegno al pacchetto di luglio scorso e una condivisione di promuovere lo sviluppo dell’economia circolare. E’ stato interessante osservare come è stato ritenuto che tre diversi fattori in crisi (ambiente, occupazione e economia) trovino una loro soluzione attraverso politiche di promozione dell’economia circolare.

La condivisione all’unanimità sull’obiettivo, tuttavia, non è ancora sufficiente: occorre capire meglio cosa fare e come operare. Una parte rilevante di questi aspetti è stata già determinata (obiettivi 2030: riciclaggio all’80% per i rifiuti di imballaggio, riciclaggio al 70% per quelli urbani, massimo 5% dei RSU conferibili in discarica), occorre tuttavia affrontare alcuni temi rilevanti come ad esempio le modalità di contabilizzazione del riciclato, la portata di uno strumento come l’EPR, la concorrenza e la trasparenza, che definiranno i termini reali del concetto di economia circolare.

Affinché le ulteriori negoziazioni portino a risultati credibili occorre che le parti in causa non difendano le posizioni che attualmente detengono, ma siano in grado di immaginare come possano agire all’interno dell’economia circolare. Occorre arrivare ad un reale cambiamento del nostro modello di produzione e di consumo, altrimenti non sarà possibile cogliere i vantaggi di una maggiore occupazione, di una minore dipendenza nell’approvvigionamento di materie prime, di un miglioramento degli impatti ambientali, dell’avanzamento tecnologico e dell’aumento della competitività del nostro manufatturiero.

Diventa, così, fondamentale contabilizzare il riciclaggio sull’effettivo riciclato e non sull’avvio al riciclo, sapendo che per certe frazioni la differenza raggiunge una forchetta del 40%. Ma anche pensare di ampliare a nuovi settori la responsabilità estesa del produttore, avendo a riferimento non solo le categorie di prodotti, ma anche la materia prima. Occorre promuovere l’end of waste per dare certezza agli operatori e trasparenza ai consumatori.

Questo sarebbe il momento opportuno perché in Italia se ne cominci a discutere, prima di trovarsi di fronte alle scelte della UE.Un momento per elaborare una proposta, definire una strategia e assumere una posizione che consenta al nostro Paese di essere in grado di competere in un’economia circolare.

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