Riduzione delle emissioni. Perché non usare una carbon tax sulle importazioni per coinvolgere anche Cina e Stati Uniti?

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Le stime lo avevano già anticipato, ma ora è ufficiale: il Rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (Global energy and CO2 status report 2019) ha certificato che le emissioni mondiali di CO2 generate dai consumi di energia, già aumentate nel 2017, sono ulteriormente cresciute dell’1,7% anche nel 2018.

La concentrazione di CO2 in atmosfera ha così raggiunto 407,4 ppm, con un aumento di 2,4 ppm rispetto al 2017. Mantenendo questo tasso di aumento, in soli 18 anni – quindi entro il 2036 – si raggiungerebbe la concentrazione di 450 ppm di CO2, alla quale, con alta probabilità, corrisponderebbe un aumento medio della temperatura globale di oltre 2°C, rendendo carta straccia l’Accordo di Parigi per il clima.

Di chi è la responsabilità di questo aumento? I principali responsabili sono la Cina, più grande emettitore mondiale, che ha aumentato le sue emissioni del 2,5%, per un valore di circa 250 Mton di CO2 e gli USA, secondo emettitore mondiale, che le ha aumentate del 3,1%, per un valore di oltre 150 Mton di CO2.

Anche l’India ha aumentato le sue emissioni del 4,8% per un valore di circa 110 Mton: con una popolazione simile a quella cinese, genera però meno di un quarto delle emissioni totali della Cina. L’Europa – per merito della Germania, della Francia e del Regno Unito che hanno realizzato le maggiori riduzioni – ha tagliato le sue emissioni dell’1,3% ,per circa 50 Mton.

L’Accordo di Parigi per il clima si basa sugli impegni nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra (NDC) definiti dai singoli Paesi. La Cina, principale emettitore, non ha, fino ad ora, preso impegni di riduzione complessiva, ma solo di miglioramento dell’intensità energetica e carbonica: le sue emissioni globali, infatti, continuano a crescere. Il presidente Trump ha espressamente dichiarato che gli USA non hanno alcuna intenzione di applicare l’Accordo di Parigi, ma intendono uscirne e, infatti, hanno ripreso ad aumentare le loro emissioni.

Che fare quindi? Intanto occorre imitare i migliori, impegnandoci a maggiori riduzioni di gas serra dimostrando che si possono realizzare riduzioni consistenti senza costi insostenibili e con vantaggi tangibili anche economici e occupazionali, oltre che ambientali.

Poi si dovrebbe mettere in campo un’iniziativa per coinvolgere anche Cina e Stati Uniti. Come? Se un gruppo di Paesi europei importanti – anche non tutta l’Europa, anche solo un gruppo dei più convinti- introducesse una carbon tax che si applicasse al contenuto di CO2 energetica dei prodotti anche importati, i Paesi con minori emissioni di C02 vedrebbero le loro produzioni premiate e invece quelli con emissioni più alte vedrebbero i loro prodotti penalizzati.

I proventi di questa carbon tax che, se ben calibrata, verrebbero generati per la gran parte dalle importazioni dai Paesi con più alte emissioni (Cina e Stati Uniti e altri simili) dovrebbe poi essere utilizzati per alleggerire altri prelievi fiscali e contributivi ,in particolare sul lavoro. Ci sono idee migliori? Spero che siano proposte, in fretta perché il tempo stringe.

 


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 29/03/2019
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