Pubblicato il decreto sull’utilizzo di sottoprodotti derivanti da processi di produzione

Sulla G.U. dello scorso 15 febbraio è stato pubblicato il d.m. 264/16, titolato “regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”.

Il decreto si propone di “favorire e agevolare l’utilizzo dei sottoprodotti” e “di assicurare maggiore uniformità nell’interpretazione e nell’applicazione della definizione di rifiuto”, in linea con il principio secondo cui “il regime dei sottoprodotti contribuisce alla dissociazione della crescita economica dalla produzione dei rifiuti”. Lo scopo è, quindi, quello di semplificare le modalità da seguire per il riconoscimento dei sottoprodotti.

Cosa bisogna fare?

Fermo restando il rispetto dei 4 criteri indicati all’art. 184.bis, del d. lgs. n. 152/06, Il decreto descrive una possibilità per il riconoscimento dei sottoprodotti, lasciando intendere che si possa ricorrere anche ad altre forme di attestazione (art. 4, 2°). Come ad esempio, riconoscimenti ottenuti in forza di provvedimenti autorizzatori (AIA, VIA, …).

Lo schema indicato dal decreto si basa sull’obbligo del produttore di provare la sussistenza di un’organizzazione e della continuità di un sistema di gestione, comprese le fasi di deposito e trasporto, che, per tempi e per modalità, consenta di identificare e di definire l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto. All’obbligo del produttore si accompagna quello dell’utilizzatore di fornire equivalente dimostrazione per la fase di gestione dei sottoprodotti.

Al fine di confermare l’effettivo utilizzo i rapporti tra produttore e utilizzatore (intermediario) dovranno essere confermati dall’esistenza di appositi contratti o impegni contrattuali. Da tali documenti si dovranno evincere le informazioni relative alle caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, alle relative modalità di utilizzo e alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo.

In assenza di tali documenti (su questo aspetto il decreto non è chiaro, in quanto in altri passaggi sembra necessaria in ogni caso la redazione delle schede), il produttore dovrà redigere apposite schede, che contengano tutte le informazioni richieste dall’allegato 2. Queste dovranno essere conservate per almeno 3 anni ed essere numerate, vidimate e gestite con le procedure e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA. La vidimazione avviene da parte delle Camere di Commercio territorialmente competenti.

L’attestazione di quanto riportato nella scheda è equiparata alla cosiddetta dichiarazione sostitutiva (art. 47, D.P.R. 445/2000). Pertanto, l’affermazione mendaci genera l’imputazione relativa al reato di falso ideologico (483 c.p.).

Poiché il sottoprodotto è equiparato a tutti gli effetti a merce, il decreto dispone che alla stregua di qualsiasi venditore la responsabilità del produttore o del cessionario in relazione alla gestione del sottoprodotto viene limitata alle fasi precedenti alla consegna dello stesso all’utilizzatore o a un intermediario.

A completamento di questo quadro, è stabilito l’obbligo di iscrizione da parte del produttore e dell’utilizzatore (non invece gli intermediari) ad un apposito elenco da istituire presso le Camere di Commercio, la cui consultazione a sua volta dovrebbe agevolare lo scambio dei sottoprodotti.

Il decreto definisce, infine, delle raccomandazioni riguardo allo stoccaggio, movimentazione e trasporto dei sottoprodotti.

Sono esclusi dall’ambito di applicazione del decreto:

  • i prodotti (materiale o sostanza ottenuti deliberatamente nell’ambito di un processo di produzione o risultati di una scelta tecnica);
  • le sostanze e materiali dell’art. 185, del d. lgs. n. 152/06 (emissioni; acque di scarico; terreno in situ; rifiuti radioattivi; materiali esplosivi in disuso, alcuni materiali fecali o scarti agricoli; sottoprodotti di origine animale; carcasse di animali; rifiuti derivanti dalla prospezione, estrazione, trattamento e ammasso di materiali da attività minerarie o cave; suolo non contaminato derivante da attività di costruzione riutilizzato nello stesso per la medesima attività);
  • i residui derivanti da attività di consumo.

Vi rientrano, invece, le rocce e terre da scavo, per le quali vige l’art. 186, del d. lgs. n. 152/06.

E’ ancora presto per misurare gli effetti che questo decreto avrà sulla materia. Esistono spunti interessanti, come ad esempio laddove si afferma che rientrano nella normale pratica industriale le attività e le operazioni che costituiscono parte integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se progettate e realizzate allo specifico fine di rendere le caratteristiche ambientali o sanitarie della sostanza o dell’oggetto idonee a consentire e favorire, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e a non portare ad impatti complessivi negativi sull’ambiente. Questo inciso, infatti, potrebbe stimolare lo sviluppo di sequenze produttive finalizzate al riutilizzo di sostanze che altrimenti verrebbero ad essere classificate come scarti.

Ma esistono anche delle ombre.

Non solo alcuni passaggi non chiari – come ad esempio se redigere le schede solo in mancanza di impegni contrattuali sulla cessione dei sottoprodotti finalizzata al loro utilizzo -, ma anche su altre questioni tra le quali, fra l’altro, il caso di vendita di sottoprodotti all’estero, sul sistema dei controlli, su chi è tenuto a firmare le schede, sulle modalità di comunicazione di eventuali sopravvenute difficoltà a conferire i sottoprodotti all’utilizzo previsto.

Per scaricare il decreto: www.gazzettaufficiale.it/atto
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