Per decarbonizzare l’economia fermiamo l’enorme flusso di investimenti in fossili

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Mentre cresce l’allarme per gli impatti della crisi climatica, le emissioni di gas serra che l’hanno generata e che la rendono sempre più grave, continuano ad aumentare. I numeri sono impressionanti.

Secondo il Rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (WEO, 2019), appena pubblicato, i consumi mondiali di energia sono cresciuti da 10 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2010, a 14,3 miliardi nel 2018 ,con un aumento del 43%.

La quota mondiale di combustibili fossili è addirittura aumentata: dall’80% dei consumi mondiali di energia nel 2000 all’81% nel 2018. Le emissioni di CO2, principale gas serra, di conseguenza sono cresciute da 23,1 miliardi di tonnellate nel 2000 a 33,2 miliardi di tonnellate nel 2018, con un aumento del 43,5%. L’uso del carbone ha generato a livello mondiale l’emissione di 14,6 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2018, con un aumento del 63,9% rispetto al 2000; l’uso del petrolio ha generato 11,4 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2018, con una crescita dell’11,4% rispetto al 2000; l’uso del gas ha generato 7,1 miliardi di tonnellate di CO2 con una crescita del 57,7%.

La crescita massiccia dell’uso di combustibili fossili è possibile solo grazie a un grande sostegno di investimenti: per gli impianti e le attività di estrazione, per le lavorazioni, il trasporto e la distribuzione, per le raffinerie e per le centrali termoelettriche.

Sempre il citato ultimo Rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia ci informa che nei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) nell’ultimo periodo, 2014-2018, sono stati investiti ben 1.063 miliardi di dollari in media all’anno, a fronte di una media di 308 miliardi di dollari annui investiti in fonti rinnovabili.

Fino a quando il gigantesco flusso di denaro che promuove l’utilizzo di combustibili fossili non sarà fermato, non vi sarà alcuna reale possibilità di decarbonizzare l’economia. Il grosso dei soldi investiti in fonti fossili come  gli altri che girano nei mercati finanziari globali- proviene da banche, fondi d’investimento e assicurazioni, dove le grandi imprese dei fossili hanno ruoli diretti rilevanti, perché, nonostante i disastri che provocano, continuano, evidentemente, a rendere e a remunerare gli investitori.

Sono ormai numerose le iniziative di associazioni, cittadini e imprese, in diversi Paesi, che rifiutano di ricorre ai servizi offerti da banche, assicurazioni e fondi impegnati a sostenere i combustibili fossili. Se queste iniziative fossero più conosciute e si estendessero, sarebbero sempre meno gli investitori disposti a rischiare i loro capitali con soggetti esposti ai crescenti rischi e costi della crisi climatica.

Stanno anche crescendo in molti Paesi le iniziative di “carbon pricing”: rendendo costose le emissioni di CO2 si rendono economicamente svantaggiosi gli investimenti in combustibili fossili. Quindi non solo vanno eliminati gli incentivi ai fossili, ma serve una carbon tax e, al più presto, come si sta discutendo a livello europeo, anche una carbon border tax: una tassa sul contenuto di carbonio delle importazioni, quando provengono da Paesi che, come la Cina non fanno pagare le emissioni di gas serra e continuano ad investire massicciamente in nuove centrali a carbone.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 22/11/2019
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