Pacchetto “Unione dell’Energia”, audizione Edo Ronchi al Senato
Il Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Edo Ronchi, è stato oggi ascoltato dalle Comissioni riunite Ambiente e Energia del Senato sul Pacchetto “Unione dell’Energia" (atti comunitari n. 60, 61, 62).
“Quella dei cambiamenti climatici – ha dichiarato Ronchi in Commissione – è una delle sfide più importanti, non solo ambientale, del nuovo secolo. In vista del nuovo accordo globale sul clima, che si discuterà a dicembre alla COP XXI di Parigi – ha aggiunto Ronchi – l’Europa si presenta con la decisione di tagliare le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, del 40% entro il 2030. Dati i trend in atto (l’UE ha ridotto le proprie emissioni del 19% dal 1990 al 2013) l’obiettivo poteva essere anche più ambizioso. Va anche sottolineato che quello europeo rimane il maggiore impegno di riduzione tra quelli messi in campo fino a oggi a livello internazionale e che tale impegno è in linea con la traiettoria del contenimento dell’aumento della temperatura globale entro i 2°C, indicata dall’IPCC.”
I dubbi sulla proposta della Commissione non nascono tanto dall’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra, ma dai due target “di settore”: l’aumento, sempre al 2030, solo al 27% della quota delle fonti rinnovabili, per di più vincolate solo a livello UE e non di singolo Stato membro, e la riduzione del 27% dei consumi energetici tendenziali (con possibile aumento al 30% da decidere entro il 2020), in questo caso non vincolante neppure a livello UE.
Con questi target settoriali è difficile dimostrare la possibilità di raggiungere effettivamente la riduzione del 40% delle emissioni al 2030. In vista della Conferenza di Parigi, la Commissione ha precisato le proprie proposte per il nuovo accordo internazionale che dovrebbe essere concepito in modo da realizzare i seguenti obiettivi:
– garantire riduzioni globali delle emissioni di gas serra di almeno il 60%, entro il 2050, rispetto ai livelli del 2010 (che corrisponde ad una riduzione di circa 50% di quelle del 1990);
– definire impegni di mitigazione chiari, specifici, ambiziosi, equi e giuridicamente vincolanti e che consentano di raggiungere l’obiettivo dei 2 ºC;
– prevedere un riesame completo ogni cinque anni, per innalzare il livello di ambizione di questi impegni di mitigazione;
– definire un insieme comune di norme e procedure da applicare alla rendicontazione annuale, alla verifica periodica e all’esame degli inventari delle emissioni a cura di esperti internazionali.
Per aderire al protocollo ogni Paese dovrebbe assumere un impegno di riduzione delle proprie emissioni. I Paesi potranno partecipare al processo decisionale nell’ambito del protocollo e accedere alle risorse finanziarie e di altro tipo per sostenere l’attuazione del protocollo stesso. Gli impegni di mitigazione assunti nell’ambito del protocollo dovrebbero essere giuridicamente vincolanti in egual misura per tutti i Paesi che lo sottoscrivono.
Spetterebbe ai paesi contrari all’introduzione di impegni di mitigazione che siano vincolanti a livello internazionale, dimostrare in che modo si possano ottenere gli stessi benefici con un altro approccio. La Commissione auspica che l’UE, la Cina e gli Stati Uniti aderiscano al protocollo quanto prima, spianando la strada al processo di ratificazione attraverso un deciso segnale di leadership politica. Il protocollo dovrebbe entrare in vigore non appena i paesi che nel 2015 insieme rappresentano circa l’80% delle emissioni mondiali attuali, avranno depositato il loro strumento di ratifica.
Il punto più debole della proposta della Commissione sembrerebbe quello che affida ad ogni singolo Paese di definire il suo impegno di riduzione (che poi diventa legalmente vincolante) senza meccanismi di regolazione globale degli impegni nazionali. Non sarebbe meglio indicare almeno un criterio di convergenza verso un valore delle emissioni pro-capite uguale per tutti i Paesi? Ma che succede se la somma degli impegni di riduzione assunti dai singoli Paesi non portano al risultato di un taglio, entro il 2050, del 60% rispetto al 2010? Del resto la somma degli impegni volontari dichiarati, fino ad ora, dai principali Paesi è lontana dalla traiettoria necessaria per contenere la variazione di temperatura entro i 2°C, con un taglio di almeno il 50% delle emissioni rispetto al 1990.
Condivisibile il quorum dell’80% delle attuali emissioni mondiali per far entrare in vigore il Protocollo (il che richiede anche la ratifica della Cina e degli Stati Uniti), ma occorre anche sapere che ciò comporta ostacoli notevoli. E’ da verificare, infatti, la possibilità di ratifica di un Protocollo vincolante da parte degli Stati Uniti, vista la contrarietà della maggioranza del Congresso (anche se sembrerebbe aperta la possibilità di un atto di attuazione della Convenzione quadro del 1992 che invece è già stata ratificata dal Congresso). La Cina fino ad ora ha dichiarato che intende assumere impegni di riduzione delle emissioni specifiche di CO2 (per unità di Pil e per unità di energia consumata) e di riduzioni assolute delle proprie emissioni di gas serra solo a partire dal 2030 (e non dal 2020 come prevede la proposta europea).
Pur con tutte le difficoltà e i limiti sottolineati, la proposta europea di ingresso alla Conferenza di Parigi, se approvata, costituirebbe un compromesso positivo, anche se richiederebbe ulteriori trattative per diventare operativa e produrre significativi e sufficienti impegni di riduzione delle emissioni di gas serra mondiali”
Audizione Commissioni del Senato della Repubblica 10^ e 13^ sul pacchetto europea “Unione dell’energia”
- LA NOTA DELLA FONDAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE |pdf|
Roma, 29 aprile 2015