L’ignoranza della gravità della crisi climatica è diffusa e molto costosa

di Edo Ronchi da HuffPost

La contraddizione fra le affermazioni fatte nei giorni scorsi e gli eventi climatici drammatici in corso, con le alluvioni causate che colpivano l’Europa e, in particolare, di nuovo l’Emilia Romagna, dovrebbe essere evidente.

“La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una débâcle” (Emanuele Orsini, presidente di Confindustria).

“Sono d’accordo con Orsini, lo ringrazio per essere stato molto chiaro su questo, sui risultati disastrosi frutto di un approccio ideologico del Green Deal europeo” (Giorgia Meloni, presidente del Consiglio).

Tale contraddizione non sfugge a Luca Angelini che si interroga: “Green Deal, auto elettrica, disastri ambientali: meglio il freno o l’acceleratore?” (Corriere della sera del 20/09/2024).

Che le vendite delle auto elettriche vadano male, e siano peggiorate, in Europa è un fatto. Anche le cause di queste difficoltà sono abbastanza chiare: il loro costo, in Europa è significativamente più alto, e aumentato, rispetto a quelle tradizionali (a causa di scelte industriali, dello scarso sostegno di risorse pubbliche, del costo alto delle batterie in Europa); i punti di ricarica, disponibili in vario modo, sono ancora relativamente pochi.

I modi per rispondere a questi problemi possono essere, e sono, molto diversi. Queste difficoltà possono essere cavalcate per rallentare la decarbonizzazione delle auto, per puntare ad annullare la scadenza europea del 2035 e mantenere e rilanciare le auto tradizionali con motori a combustione di carburanti fossili, contribuendo a diffondere disimpegno ambientale fra i cittadini sostenendo che le preoccupazioni climatiche sono esagerate e che le scelte per l’auto elettrica sono ideologiche e disastrose per l’industria italiana. Oppure queste difficoltà possono essere affrontate accelerando la produzione in Europa (come ha fatto la Cina) di modelli di auto elettriche meno costosi, anche se con minori margini unitari per l’industria; rafforzando la produzione europea -oggi tecnicamente possibile- di batterie a costi minori; sostenendo una reale accelerazione della diffusione dei punti di ricarica, nel quadro di misure per una mobilità più sostenibile, più efficiente, più pulita e meno costosa (quindi più pubblica e condivisa, più ciclopedonale e più elettrica, anche con meno auto), investendo maggiori risorse, pubbliche e private, nella transizione e sollecitando un ruolo più attivo e consapevole dei cittadini e delle imprese.

Da cosa dipende la scelta fra queste due, ben diverse, opzioni strategiche? Dal livello di importanza che si attribuisce alla decarbonizzazione delle auto e, visto il peso, misurato e rilevante, delle emissioni di gas serra delle auto, al livello di gravità e di priorità che si attribuisce alla crisi climatica. Trarre questa conclusione, per quanto razionale e perfino ovvia, risulta per molti molto scomoda perché comporta scelte, praticabili ma non facili, e cambiamenti, necessari ma impegnativi. È più facile, per quanto possa sembrare assurdo, mantenere i due piani – della crisi climatica e delle politiche – ben separati, continuando a sostenere una serie di argomenti, razionalmente inconsistenti, ma, grazie al sostegno di un gran volume comunicativo, in grado di mantenere e alimentare consenso.

Tipo: noi vorremmo sia la decarbonizzazione, sia il mantenimento dell’industria delle auto a combustibili fossili, ed anche un albero che produca direttamente soldi in ogni giardino. Vorremmo solo rallentare, avere più tempo a disposizione, come se non esistesse un’urgenza per il rapido aggravamento in corso di questa crisi e fossimo in grado di dire alla crisi climatica di fermarsi e aspettare. Darsi da fare troppo per il clima sarebbe inutile e dannoso per l’economia perché il problema climatico è globale, quindi si risolverebbe col disimpegno di tutti, anche di quelli economicamente più favoriti e i danni economici enormi, generati dal rapido aggravamento della crisi climatica, non dovrebbero entrare nel calcolo dei costi e dei benefici. Queste posizioni sono spesso sostenute da attacchi ai soliti ambientalisti, che, anche con la crisi climatica, farebbero un sacco di errori: sarebbero ideologici, esagerati e catastrofisti, non saprebbero tenere conto dei problemi sociali ed economici. Anche in questo caso non c’è una grande novità: è più facile attaccare il messaggero che misurarsi con il messaggio. Per parte mia sono veramente dispiaciuto che gli eco-scettici abbiano torto marcio e continuino ad ignorare (il tema dei costi dell’ignoranza della crisi climatica andrebbe approfondito), e a sottovalutare, la gravità e l’urgenza della crisi climatica e quindi, proprio per questo, a rinviare e rallentare misure e soluzioni impegnative, ma praticabili.

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