Puntare alle zero emissioni nette al 2050, proponendo target, tempistiche e soluzioni per la decarbonizzazione di tutti i settori di produzione e consumo di energia. È questo l’ambizioso obiettivo di Net Zero By 2050 – A Roadmap for the Global Energy Sector, l’ultimo Rapporto pubblicato dall’Agenzia internazionale per l’energia (International Energy Agency – IEA) per guidare il dibattito pubblico sugli impegni di neutralità climatica da parte dei governi, in vista della COP26 di novembre a Glasgow.
La Roadmap Net Zero (NZE) riguarda le sole emissioni di CO2 da processi energetici – cioè dalla combustione di fossili per gli usi termici, per i trasporti e per la generazione elettrica – e da processi industriali, cioè le emissioni di carbonio generate dai processi produttivi nelle industrie pesanti. Insieme queste emissioni ammontano oggi a 33,9 miliardi di tonnellate di CO2 (Gt CO2) e rappresentano circa il 75% delle emissioni globali di gas serra.
Gli obiettivi e le soluzioni proposte dalla IEA per raggiungere le zero emissioni nette sono dunque identificati nell’ambito del perimetro energia e processi industriali, sia dal lato della riduzione delle emissioni che da quello degli assorbimenti di carbonio (necessari per azzerare le emissioni residue e incomprimibili). Sul fronte degli assorbimenti, si tratta di una scelta non banale, poiché non àncora il raggiungimento del Net Zero del settore energetico a soluzioni nature-based (prime fra tutte quelle forestali), in piena controtendenza con l’ampissima (e altrettanto discutibile) diffusione di queste soluzioni negli impegni di decarbonizzazione in particolare del settore privato; questa scelta, però, comporta inevitabilmente un ricorso molto significativo alle soluzioni di assorbimento di natura tecnologica, sulle quali sussistono ancora oggi molte incertezze sulla effettiva fattibilità e diffusione su ampia scala.
Secondo lo Scenario NZE, infatti, le emissioni da processi energetici e industriali dovrebbero ridursi drasticamente (dell’80%) entro il 2050, fino a raggiungere 7,6 Gt CO2 di emissioni residue. Significa che il mondo entro trent’anni dovrebbe riuscire a neutralizzare un quarto delle attuali emissioni globali di CO2 del settore, grazie alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS): quasi il 70% di questa compensazione (5,2 Gt CO2) arriverebbe dalle tecnologie CCS applicate agli impianti di combustione di fossili (soprattutto nel settore della generazione elettrica e nell’industria pesante), mentre ulteriori 1,4 Gt CO2 sarebbero neutralizzate grazie alla CCS applicata alle bioenergie (BECCS), che virtualmente produce emissioni negative perché applicata ad impianti di combustione di biomasse che per convenzione sono ad emissioni zero.
Con riferimento all’efficienza energetica, la Roadmap della IEA prevede una riduzione della domanda globale di energia primaria dell’8% rispetto ai livelli attuali, un taglio ben più rilevante se analizzata dal lato del consumo finale. Dallo scenario della IEA, infatti, emergerebbe al 2050 una riduzione dei consumi finali di energia del 22% nei consumi totali e del 35% in quelli pro capite – con una popolazione mondiale prevista di 9,7 miliardi di persone e una economia più che raddoppiata rispetto ad oggi. Il divario fra la performance di efficienza energetica in energia primaria e finale è riconducibile tra le altre cose nella significativa quota di elettricità e idrogeno nei consumi finali di energia, che aumenta la quota di energia primaria soggetta a trasformazioni e accresce dunque il divario fra i due indicatori di consumo.
Sul ricorso alle fonti fossili, la IEA identifica alcune tappe, anche differenziate per le diverse regioni del mondo, per arrivare nel 2050 alla neutralità carbonica del settore. Secondo la Roadmap NZE, già da subito e in tutto il mondo non si dovrebbero più avviare nuove esplorazioni di bacini petroliferi o di gas naturale, né approvare nuovi impianti di generazione elettrica alimentati a carbone (a meno che non integrino già una soluzione di CCS). Gli impianti termoelettrici a carbone esistenti senza CCS dovrebbero essere gradualmente dismessi, fino alla loro completa eliminazione entro il 2030 per le economie avanzate, e il 2040 per le economie emergenti (dove numerose nuove centrali a carbone sono oggi ancora in costruzione). Al 2050 gli impianti termoelettrici fossili senza CCS non dovrebbero più esistere e il mix elettrico sarebbe dominato dalle fonti rinnovabili (per il 60% nel 2030 e per il 90% entro il 2050). La domanda globale di elettricità crescerebbe dell’80% fra oggi e il 2050 e arriverà a coprire il 50% dei consumi finali di energia.
La penetrazione delle rinnovabili sarebbe soprattutto trainata da eolico e fotovoltaico, che entro la metà del secolo arriverebbero a coprire da soli il 70% della generazione elettrica globale grazie ad una crescita che si prevede esponenziale: 1.000 GW di nuovi impianti da installare ogni anno al 2030 (di cui 600 GW di fotovoltaico e 400 di eolico), un ritmo 4 volte superiore alla già significativa crescita registrata nel 2020. Anche le bioenergie sarebbero previste in decisa crescita (+40% di produzione rispetto ad oggi) e arriverebbero a coprire circa il 5% della generazione elettrica mondiale. La crescita delle bioenergie sarebbe necessaria per supportare la transizione sia in termini di programmabilità della produzione che per le soluzioni di BECCS, ma resta comunque un tema ancora dibattuto tra gli esperti, nonostante la IEA sostenga che l’aumento delle bioenergie previsto nello scenario NZE non consumerebbe nuovo suolo e non entrerebbe in conflitto con il fabbisogno alimentare. Il restante 10% di generazione elettrica non coperta dalle fonti rinnovabili al 2050 sarebbe prodotto dalle centrali nucleari, per le quali la IEA – nonostante il contrastato dibattito in materia – prevede ancora una crescita significativa (ben il 40% in più rispetto ad oggi), soprattutto nelle economie emergenti.
Con riferimento al petrolio e ai suoi derivati, secondo la IEA la domanda globale dovrebbe ridursi del 75% rispetto ad oggi, e solo una minima parte (il 15%) resterebbe destinata ai trasporti, in particolare per quelli pesanti aerei, marittimi e su strada, per il quale appare difficile ipotizzare una completa decarbonizzazione. Sugli autoveicoli, invece, la strada appare ben delineata e dominata dall’elettrificazione: la penetrazione dei veicoli elettrici nelle nuove immatricolazioni di automobili dovrebbe passare dall’attuale 5% al 65% nel 2030, fino al 100% nel 2035, anno di completa eliminazione delle auto tradizionali a combustione interna dal mercato delle nuove immatricolazioni. Secondo la Roadmap, entro il 2050 anche il trasporto su ferro sarebbe quasi completamente elettrificato.
I trasporti sono anche uno dei settori nel quale i cambiamenti comportamentali potrebbero contribuire maggiormente alla decarbonizzazione, sia per la mobilità privata che per quelle delle merci, ad esempio privilegiando il trasporto su ferro (che aumenterebbe del 30%) e la ciclo-pedonalità. Tuttavia il numero di automobili in circolazione sarebbe previsto in forte crescita, passando dagli attuali 1,2 a 2 miliardi di autoveicoli. Più generale, lo scenario NZE attribuisce ai cambiamenti comportamentali (e alla minore domanda di energia e materiali ad essa connessa) un contributo pari al 15% della riduzione totale delle emissioni di CO2 al 2050, che dovrebbe arrivare più o meno in eguale misura sia dai privati cittadini che dal mondo del business. In ogni caso, secondo la IEA, si tratta di cambiamenti comportamentali che avverrebbero soprattutto grazie a politiche di governo stringenti verso scelte e soluzioni a basse emissioni.
Oltre a specifiche tappe di decarbonizzazione di alcuni settori dell’industria pesante (fra cui acciaio, chimica e cemento), lo scenario NZE propone una roadmap approfondita sul tema dell’idrogeno, un vettore energetico su cui le aspettative (così come le incertezze) sono elevate nel dibattito attuale. Nella Roadmap della IEA l’idrogeno nel 2030 dovrebbe raddoppiare l’attuale produzione, arrivando a 200 milioni di tonnellate (Mt), per il 70% a basse emissioni (oggi la quota è intorno al 10%), per poi passare a 520 Mt nel 2050, quasi interamente da tecnologie a basse emissioni. Lo scenario fornisce una indicazione chiara anche degli usi a cui l’idrogeno andrebbe destinato, dando priorità al trasporto aereo e marittimo (200 Mt al 2050), seguito dall’industria pesante (190 Mt) e, più limitatamente, dalla generazione elettrica.