Il Covid riduce le emissioni mondiali di CO2, ma il problema resta la Cina

di Edo Ronchi

dal blog HuffingtonPost

Benché ampiamente atteso, il calo delle emissioni di CO2 nel 2020 fa una certa impressione: circa 2 miliardi di tonnellate in meno, il calo più forte mai registrato in un solo anno, pari a circa il 5,8% in meno rispetto al 2019.

È il calcolo fatto, sulla base dei consumi energetici, dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, appena pubblicato (Global Energy Review: CO2 Emissions in 2020).

Le emissioni di CO2 per gli usi energetici sono così tornate a circa 31,5 miliardi di tonnellate: gli stessi livelli di 10 anni fa. Oltre la metà della riduzione (-1,2 GtCO2) è stata generata dal crollo del consumo di prodotti petroliferi per la mobilità: soprattutto per il trasporto su strada e per quello aereo.

La seconda causa della riduzione delle emissione (-0,6 GtCO2)  è derivata dal minor uso del carbone per la generazione elettrica, mentre il consumo di gas ha subito una riduzione più contenuta ed ha generato un minor calo delle emissioni  (-0,2 GtCO2). I dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia forniscono spunti per alcune riflessioni.

Sia l’Unione Europea, sia gli Stati Uniti hanno fatto registrare nel 2020 una riduzione, per tutti i mesi dell’anno, intorno al 10%. La Cina, invece, ha ridotto le emissioni solo i primi tre mesi del 2020, e, da aprile, uscita dal Covid-19, ha iniziato un effetto rimbalzo, aumentando per tutti i mesi successivi le emissioni rispetto al 2019, con una media di aumento in questi mesi piuttosto consistente: intorno al 5%.

L’esperienza cinese dimostra che, con l’uscita dal Covid-19, la ripresa  economica e quella delle emissioni di gas serra tendono a procedere insieme: occorre quindi agire in fretta con politiche e misure che alimentino l’economia riducendo, e non aumentando, le emissioni. Ricordo che il Panel delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (IPCC) e la comunità scientifica hanno chiaramente documentato che, se non si cambia passo realizzando consistenti riduzioni di gas serra entro i prossimi 10 anni e se non ci mette velocemente sulla traiettoria per la neutralità climatica, l’Accordo di Parigi per il clima diventa carta straccia e il contenimento dell’aumento globale della temperatura sotto i 2°C diventa un sogno irrealizzabile.

C’è attesa per la COP 26 di Glasgow a novembre: per capire se un numero sufficiente di Paesi, insieme all’Europa e agli USA con la nuova Amministrazione Biden, aumenteranno i loro impegni nazionali di riduzione dei gas serra al 2030 per avviare una concreta attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima.

La Cina, con la sua ripresa consistente di emissioni di gas serra, conferma di essere il principale problema oggi per l’attuazione di tale Accordo per il clima. Con il 19% della popolazione e con la seconda economia mondiale, la Cina ha emesso nel 2019 il 30,3% della CO2 totale (l’8,7% la UE e il 13,4% gli USA ), con emissioni pro-capite ormai a 8,1 tonnellate all’anno, superiori di quelle europee ( 6,5 tonn), anche se ancora inferiori di quelle degli USA (15,5 tonn).

Ciononostante la Cina non ha fissato obiettivi di riduzione delle sue emissioni globali al 2030, ma solo di miglioramento dell’intensità carbonica e di aumento delle rinnovabili, mentre continua ad utilizzare tanto carbone, più della metà del consumo mondiale. Che fare quindi? Occorre vincere la sfida con la Cina, dimostrando che con un Green Deal, sul modello europeo, vi può essere una ripresa economica attuando misure climatiche. E non subendo il suo dumping ambientale, ma istituendo una border carbon tax sulle importazioni in Europa ad alto contenuto di carbonio.


Articolo originale pubblicato su Huffington Post Blog in data 05/03/2021
Facebooktwitterlinkedinmail