di Edo Ronchi
Questo Rapporto è stato elaborato per gli Stati Generali della Green Economy: l’appuntamento italiano di novembre del 2012, il primo di questo genere in Europa dopo il Summit di Rio+20.
La prima parte del Rapporto, che offre un contributo di analisi e di approfondimento, riassume il quadro di riferimento internazionale, a partire dalle elaborazioni dell’UNEP, dell’OCSE e dell’Unione Europea fino alla Conferenza di Rio+20. Con un duplice scopo: fornire una base conoscitiva, consolidata e riconosciuta da importanti istituzioni internazionali, della green economy; derivare da questo quadro di riferimento una visione condivisa a livello internazionale.
È fin troppo evidente che l’importanza e la portata di questa nuova economia, trattandosi di un fenomeno relativamente recente e dovendo misurarsi con l’inerzia di visioni tradizionali largamente prevalenti, non sia adeguatamente compresa. Certamente precedenti elaborazioni sullo sviluppo sostenibile contenevano già indicazioni convergenti con gli attuali elaborati sulla green economy, dove tuttavia sono presenti anche rilevanti novità.
Nel documento The future we want, approvato a Rio+20, si afferma: “Registriamo le esperienze positive di alcuni paesi, anche di paesi in via di sviluppo, nell’adottare politiche di green economy”, sottolineando così che si tratta di un processo in atto, promosso e accelerato da due crisi: quella climatica e quella economica, iniziata con la recessione del 2008-2009 e in molti paesi ancora in corso.
La prima rilevante novità della green economy, è proprio costituita dal fatto che essa ha ricevuto un forte impulso dalla necessità di affrontare le due crisi contemporaneamente e in maniera congiunta e, altra novità, che ha dovuto farlo, e lo sta facendo ora e non in un tempo rinviato al futuro. La crisi climatica sta già producendo impatti preoccupanti, avvertiti come tali da una larga parte dell’opinione pubblica mondiale che teme anche ulteriori pericolosi aggravamenti, colpendo direttamente la gran parte della popolazione con ondate di calore e siccità prolungate, nonché con maggiore frequenza e intensità di eventi atmosferici estremi. Tutto ciò, inevitabilmente, innalza anche il livello di attenzione e di disponibilità della popolazione a modificare modelli di consumo e stili di vita che danneggiano il clima. È cresciuta inoltre, non solo per la crisi climatica, una consapevolezza ecologica più generale in larga parte della popolazione che, un po’ ovunque, si trova fare i conti con frequenti crisi ecologiche e a constatare che non si può andare avanti a inquinare e consumare risorse naturali a ritmi sempre più veloci. Tutto ciò favorisce, da una parte, una domanda, di peso crescente, di nuovi consumi di beni e servizi di più elevata qualità ambientale, e, dall’altra, un contesto, locale e internazionale, più favorevole a una direzione green sia per le politiche, attente al consenso, sia per le imprese, attente alle possibilità di nuovi mercati.
Il perché lo spiega autorevolmente l’OCSE: le misure green incrementano la produttività delle risorse naturali, ormai scarse, rafforzano la fiducia degli investitori, aprono nuovi mercati, contribuiscono al risanamento dei conti pubblici con misure di fiscalità ecologica e attraverso l’eliminazione dei sussidi pubblici dannosi per l’ambiente e riducono i rischi degli impatti delle crisi ambientali. Nei paesi industriali maturi, dove la crescita economica, anche quando c’è, è bassa, è ormai scarsa la fiducia nelle possibilità di un rilancio dell’attuale tipo di economia, basato su crescita veloce e consumismo, che ha caratterizzato i decenni passati, e sul fatto che possiamo puntare su un maggiore benessere, di migliore qualità e più equamente esteso, semplicemente facendo crescere, o ricrescere, il Pil. Certamente crescita e sviluppo economico servono, ma devono essere di qualità diversa, sia dal lato della riduzione degli impatti ambientali e della tutela del capitale naturale, sia del benessere, dei consumi e degli stili di vita. La green economy comincia a proporre risposte anche alla domanda di nuove qualità dello sviluppo, sollecitando nuovi indicatori che non prescindono dal Pil, ma che siano capaci di andare oltre il Pil e di dare indicazioni più ampie e complete sul benessere reale. Visti i potenziali elevati di sviluppo della green economy, particolare attenzione è richiesta sia nell’individuazione di ostacoli e barriere, che si oppongono alla sua affermazione, sia nell’adozione di strumenti economici utili alla sua diffusione.
Tra gli ostacoli va innanzitutto citata l’inerzia dei vecchi e consolidati modelli di produzione e di consumo che sono in grado spesso di avere costi diretti minori, anche perché non vengono contabilizzati né i maggiori costi, né i minori vantaggi ambientali. La prima parte di questo Rapporto si conclude con un’analisi del ruolo dei servizi ecosistemici e del patrimonio naturale e ambientale in una green economy, in generale e anche in particolare, in Italia. In fondo si tratta di avere ben chiaro perché questa nuova economia venga chiamata green. Non c’è molto da inventare sull’argomento perché esiste ormai un’elaborazione internazionale consolidata.
La green economy, dice l’UNEP, valorizza e investe nel capitale naturale preservandone e aumentandone gli stock e tutelando e valorizzando i servizi ecosistemici, principalmente fruiti sotto forma di beni e servizi pubblici, invisibili dal punto di vista economico, circostanza che è stata, fino a ora, una delle ragioni principali per la loro sottovalutazione e per la loro cattiva gestione. In accordo con la proposta europea di roadmap, là dove prevede che ogni paese individui un numero limitato di tematiche che, sulla base di una serie di azioni precise, contribuiscono allo sviluppo di una green economy, questo Rapporto ha focalizzato, per lo sviluppo della green economy in Italia, sei settori strategici:
1. l’eco-innovazione; 2. l’efficienza e il risparmio energetico; 3. le fonti energetiche rinnovabili; 4. gli usi efficienti delle risorse,la prevenzione e il riciclo dei rifiuti; 5. le filiere agricole di qualità ecologica; 6. la mobilità sostenibile
L’analisi di questi settori strategici, arricchita da dati, riferimenti e confronti internazionali ed europei, evidenzia come una svolta economica in chiave green sia di particolare interesse e abbia rilevanti potenzialità proprio in Italia.
Perché è un paese dove è necessario un maggior sviluppo di un’eco-innovazione made in Italy che darebbe una forte spinta a incrementare il cambiamento e a combattere la rassegnazione al declino. Perché è un paese che paga una bolletta energetica salata e che importa gran parte dell’energia che consuma e ha quindi un grande interesse a sviluppare efficienza, risparmio energetico e fonti rinnovabili. Perché dispone di un’industria manifatturiera che ha bisogno di ingenti quantità di materiali e che avrebbe vantaggio da un forte sviluppo dell’industria del riciclo, che fra l’altro contribuirebbe anche a risolvere le crisi della gestione dei rifiuti ancora presenti in diverse regioni. Perché ha subito un consistente abbandono di superficie agricola utilizzabile ma potrebbe sviluppare importanti filiere agricole di qualità ecologica. Perché soffre di una crisi di una delle industrie storiche nazionali più importanti, quella dell’auto, che potrebbe avere un rilancio attraverso i numerosi e diffusi interventi e i nuovi mezzi per una mobilità sostenibile. In questi settori vi sono non solo risposte a problemi italiani ma anche potenzialità di sviluppo: ne viene un quadro di un’Italia vocata alla green economy.
L’Italia dispone, infatti, di un capitale naturale e culturale fra i più importanti del mondo; il made in Italy è ancora, in buona parte, associato e associabile a valori green: la qualità, la bellezza, il vivere bene. Nei settori strategici per una green economy l’Italia dispone di buone qualità: di una discreta industria manifatturiera, di capacità e professionalità per gli usi efficienti dell’energia, di una buona industria del riciclo; comincia inoltre ad avere anche un settore rinnovabili di una certa dimensione, dispone di eccellenze nelle produzioni agroalimentari, nei sistemi di mobilità, infrastrutture e mezzi di trasporto, dispone infine di capacità tecnologiche, professionalità ed esperienze di primissimo livello, anche se oggi compresse dalla crisi. Dalla ricognizione di questi settori strategici emerge un potenziale importante per affrontare la crisi italiana e contribuire ad aprire una nuova fase di sviluppo: quello della green economy.
A cura di Edo Ronchi
Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile