di Edo Ronchi
Grazie alla mobilitazione in circa 100 paesi della generazione di Greta Thunberg, con la significativa adesione di circa 12 mila scienziati e ricercatori di tutto il mondo, pare che anche l’attenzione verso la crisi più importante di questa nostra epoca, quella climatica, stia aumentando.
Più che prediche generiche che lasciano il tempo che trovano, sarebbe bene fare il punto sul nostro impegno per il clima. “L’impegno mondiale è insufficiente, ma l’Italia fa la sua parte”: questa è l’opinione che spesso leggo. Ma è veramente così? Vediamo cosa dicono i numeri.
In Italia tra il 2005 e il 2014 le emissioni nazionali di gas serra – secondo i dati ufficiali di ISPRA– sono diminuite da 581 a 425 MtCO2eq: un calo importante, del 26,8%, nel quale ha avuto un peso rilevante una grave recessione economica insieme ad una buona crescita delle fonti rinnovabili e ad alcune misure per l’efficienza energetica.
Nel 2018, secondo le stime di ISPRA, le emissioni di gas serra sono state pari a 426 MtCO2eq: praticamente ferme al livello del 2014. Senza contare che per l’Italia le emissioni di gas serra, non contabilizzate nell’inventario azionale, connesse al saldo import-export di prodotti realizzati con consumo di energia fossile e quindi che hanno generato emissioni di gas serra, sono stimate (nel 2014 ultimo anno disponibile) in circa 120 MtCO, quindi il 35% in più delle emissioni nazionali contabilizzate di anidride carbonica.
Per essere in traiettoria con l’Accordo di Parigi e avere emissioni nette pari a zero entro la metà del secolo, nel prossimo trentennio l’Italia dovrebbe tagliare, in media ogni anno, le proprie emissioni di gas serra di circa 13 MtCO2eq: un tasso di riduzione dal quale siamo stati ben lontani egli ultimi 4 anni, anche se inferiore a quello registrato nel decennio 2005-2014.
Per stare in questa traiettoria l’Italia dovrebbe produrre ogni anno circa 1,5 Mtep di energia da fonte rinnovabile in più e ridurre i consumi energetici finali di altrettanti, mentre negli ultimi 4 anni la crescita delle rinnovabili è stata di circa 0,5 Mtep, un terzo del necessario, e i consumi di energia sono addirittura aumentati.
Misure come quelle necessari per fare la nostra parte sono fattibili, ma impegnative. Possono diventare una straordinaria occasione di nuovo sviluppo e nuova occupazione, ma sono urgenti. Dovevano essere già state varate, non possono aspettare futuri piani al 2030 e al 2050.
Per accelerare il processo di decarbonizzazione servono interventi urgenti di regolazione (degli standard energetici e delle emissioni, per un maggiore impiego di rinnovabili); servono facilitazioni procedurali e autorizzative per i nuovi impianti, occorre promuovere investimenti in infrastrutture e un utilizzo adeguato di strumenti economici (incentivi e disincentivi, un uso accorto ed equo della leva fiscale) e tanta ricerca e diffusione di innovazione.
Per produrre uno sforzo straordinario di questa dimensione è necessario organizzare in modo determinato un’ampia partecipazione e condivisione della società civile, del mondo delle imprese e del lavoro, insieme all’università e alla ricerca.