di Edo Ronchi
Fridays for future è un’iniziativa internazionale per chiedere ai governi di impegnarsi di più contro il cambiamento climatico. Coinvolge ormai gruppi di giovani studenti in diversi Paesi ed è diffusa anche in diverse città italiane.
È stata promossa da Greta Thunberg: la ragazza quindicenne svedese che, per sensibilizzare il proprio governo, dal 20 agosto dello scorso anno ha manifestato ogni venerdì di fronte al Parlamento svedese. “Faccio sciopero. Lo faccio perché gli adulti stanno sputando sul mio futuro”. “Se i politici non fanno niente, è mia responsabilità morale fare qualcosa”, vogliamo un impegno concreto contro il cambiamento climatico! E lo vogliamo subito”: sono alcune delle motivazioni dell’iniziativa di Greta che girano sui social.
Alcuni negazionisti- dichiarati e non – delle cause antropiche dell’attuale cambiamento climatico e della gravità delle sue conseguenze hanno bollato questa iniziativa con l’etichetta del fanatismo e l’hanno collocata fra le ragazzate dannose. Fridays for future ha invece un grande rilievo, ben più ampio dei gruppi di giovani che coinvolge direttamente, perché chiede in modo semplice e diretto un maggiore impegno dei decisori politici e perché, con la forza dell’esempio, sollecita una maggiore mobilitazione della società civile per impedire che la crisi climatica abbia esiti drammatici .
I ritardi dei decisori politici nell’affrontare la crisi climatica sono evidenti e documentati. Dopo l’Accordo di Parigi sul clima, le emissioni mondiali di gas serra sono aumentate. Dopo aver concordato l’obiettivo di contenere l’aumento globale delle temperature ben al di sotto dei 2 gradi, gli impegni dei governi nazionali per politiche e misure di mitigazione restano ben al di sotto della traiettoria necessaria per assicurare tale obiettivo.
I ritardi politici sono causati da varie ragioni: i tempi brevi delle scadenze elettorali che riducono la capacità di affrontare temi di medio e lungo termine, il condizionamento degli interessi economici che ruotano attorno ai combustibili fossili, le difficoltà sociali e occupazionali della transizione e l’impreparazione ad affrontare un cambiamento inedito di così vasta portata.
Senza trascurare l’aumento,in varie parti del mondo, del peso e del condizionamento politico dei nazionalismi, palesemente inadeguati ad affrontare una crisi climatica globale che non rispetta i confini, che richiede una comune responsabilità internazionale e una ripartizione equa, quindi differenziata, degli oneri.
Probabilmente la dinamica che sta alla base dell’inadeguatezza delle iniziative politiche per il clima non può essere cambiata solo utilizzando ricerche e studi scientifici, supportati dagli ambientalisti. Serve un coinvolgimento più ampio di cittadini, del mondo delle imprese, dei sindacati dei lavoratori, del vasto mondo dell’associazionismo.
Le buone ragioni per allargare questo coinvolgimento non mancano: i giovani sono i più sensibili e i più interessati a un futuro dove loro dovranno vivere; la crisi climatica genera anche ingenti danni e costi economici, il cambiamento verso un’economia senza emissioni di carbonio offre straordinarie nuove opportunità di innovazione e di investimenti per le imprese e quindi anche possibilità di nuova occupazione; le finalità solidali dell’associazionismo no profit, impegnato sui temi della povertà e dell’immigrazione, incrociano diversi aspetti della crisi climatica.
Colpisce l’età molto giovane dei protagonisti di Fridays for future. L’acidità dei commenti su questa iniziativa è solo la conferma dal cattivo invecchiamento dei negazionisti. Visti i magri risultati – non tutti, ma certo quelli in campo climatico – della saggezza dei nonni, non sarebbe il caso di discutere con i nipoti con maggiore attenzione?