di Edo Ronchi
Era il maggio del 2015, si stava discutendo della preparazione della Conferenza di Parigi sul clima e arrivò l’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco: una lettera pastorale di un Pontefice in chiave ecologista, un segno di questi nostri tempi. Un’Enciclica, accolta con grande interesse anche nel mondo ecologista, che ha proposto riflessioni che restano di grande attualità. Una rilettura, cinque anni dopo, resta interessante e stimolante. Senza alcuna pretesa di riassumerne i contenuti e la portata, mi limito a estrapolarne alcuni spunti.
L’ambiente umano e ambiente naturale “si degradano insieme” e “il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del Pianeta”.
“Non ci sono -quindi- due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Per questo “è fondamentale cercare soluzioni integrali che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali”.
L’intreccio fra la dimensione sociale dell’ecologia e quella ecologica del benessere e dell’equità sociale è imprescindibile per l’efficacia di un progetto di sostenibilità dello sviluppo globalizzato, in un mondo con 7,7 miliardi di abitanti, dentro il limite della compatibilità climatica e delle risorse naturali disponibili.
La transizione ecologica, per una società e un’economia circolare nell’uso delle risorse e climaticamente neutrali, è un cambio storico di civiltà che richiede non solo tanta conoscenza scientifica e tanta buona e appropriata tecnologia ma che necessita anche di “ricorrere alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte, alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità”. “Nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio”.
A volte l’impegno ambientale è anche economicamente conveniente per molte attività che generano benefici ambientali e/o per evitare o limitare maggiori costi e danni. Altre volte questo impegno deriva da conoscenze e attività professionali che generano soddisfazioni personali, anche economiche.
Quando però manca visione e sensibilità ambientale, il coinvolgimento resta superficiale: manca la passione di una convinzione profonda – per la quale non è improprio usare il termine “conversione” – necessaria per affrontare sfide di ampia portata.
“Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”.
Oggi non basta mettere anche l’ambiente in una lista di questioni da affrontare, occorre che sia visto e percepito come una effettiva priorità. L’Enciclica, con una rilettura della tradizione francescana alla quale fa esplicito riferimento, sollecita una più attenta riflessione sul fatto che senza visione si colga ben poco di quello che si vede e senza sensibilità si percepisca ancora meno.