Così vulnerabili e così immobili sulla crisi climatica

di Edo Ronchi

da HuffPost

La tragica alluvione che ha colpito le Marche è solo l’ultima di una lunga serie che ha colpito l’Italia, in modo sempre più grave in questi ultimi anni. Quasi tutti ormai hanno capito che la crisi climatica genera, in certi periodi dell’anno, alte temperature, lunghe siccità e riscaldamento dei mari e, successivamente, devastanti uragani e bombe d’acqua. Questi fenomeni disastrosi, più frequenti e più intensi, se non cambiamo passo nelle politiche e nelle misure per il clima, peggioreranno ulteriormente nei prossimi anni. “L’estensione e l’intensità degli impatti del cambiamento climatico sono maggiori di quelli stimati nei precedenti rapporti“: si afferma nel nuovo Rapporto dell’IPCC (Climate Change 2022 Impacts, Adaptation and Vulnerability). La ragione del rapido peggioramento della crisi climatica è semplice: non stiamo facendo abbastanza, né abbastanza in fretta, per tagliare le emissioni di gas serra.

Dovremmo ormai aver capito anche che l’Italia è particolarmente vulnerabile: perché siamo nel mezzo del Mediterraneo che si sta scaldando rapidamente, per le caratteristiche del nostro territorio, montuoso e geologicamente fragile, con le aree di valle, di pianura e costiere densamente popolate e urbanizzate, per un’estesa impermeabilizzazione dei suoli e una pessima gestione e manutenzione della rete idrografica che rallentano gli assorbimenti delle acque piovane, favoriscono la velocità e gli accumuli delle piene e le alluvioni.

Benché siamo così pesantemente colpiti e così vulnerabili, come mai l’Italia, a differenza di altre economie europee avanzate, non ha ancora una legge per il clima con misure per raggiungere i target aggiornati ai nuovi obiettivi climatici europei al 2030 e non dispone nemmeno di uno scenario di quelle necessarie per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050? Come mai in Italia non c’è un piano di misure di adattamento ai cambiamenti climatici? Come mai la quasi totalità dei comuni italiani, in numero consistente collocati in aree a elevato rischio di alluvioni, non dispone di piani con misure per ridurre esposizione e vulnerabilità? Come mai anche quelle misure e opere che, spesso sull’onda di qualche alluvione, sono state programmate, a volte progettate e perfino finanziate, il più delle volte si trascinano per anni, prima di arrivare a conclusione e spesso perdono i finanziamenti? È veramente tutta colpa delle procedure lente e della burocrazia? Oppure, anche per questo aspetto, i decisori politici -locali, regionali e nazionali- se ne sono occupati poco o niente perché avevano altre priorità?

Per capire come mai siamo in questa situazione è bene anche non scordare che in Italia una parte consistente del mondo politico e dell’informazione -che comprende molti ex negazionisti della crisi climatica e alcuni ancora dichiaratamente dubbiosi- continua a criticare le misure europee per il clima, ritenendole eccessive, con costi elevati e dannosi per l’economia nazionale. Questa posizione, che si autodefinisce “razionale” e contrapposta a quella che ritiene “ecologia ideologica”, contrasta attivamente -come abbiamo verificato in molte occasioni- politiche e misure di mitigazione e di adattamento  avanzate e impegnative, di stampo europeo.

E, purtroppo, difficoltà e ritardi non provengono solo da quel fronte. Anche gran parte del mondo politico e dell’informazione che riconosce la necessità di affrontare la crisi climatica non mostra di coglierne la reale portata: sottovaluta i costi non solo ambientali, ma sociali ed economici, sopravvaluta le difficoltà della transizione climatica e ne sottovaluta potenzialità e vantaggi. Nonostante le dichiarazioni di interesse e di impegno, non inserisce la crisi  climatica fra le effettiva priorità dell’agenda politica, avanza proposte di misure non particolarmente incisive e, soprattutto, le sostiene con scarsa convinzione e con poco impegno, perdendole per strada, in mezzo a tanti altri obiettivi e impegni, sempre più urgenti.

 

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