di Edo Ronchi
Oggi, 20 gennaio 2025, si insedia, di nuovo, alla Casa Bianca il presidente Trump. Che succederà ora alle politiche per il clima negli Stati Uniti? Gli annunci non promettono nulla di buono per il clima. Ma, visto che si tratta di un ritorno, sarebbe bene prestare maggiore attenzione non solo a ciò che Trump ha fatto in materia la volta scorsa, ma, soprattutto, agli effetti allora prodotti.
L’attivismo di Trump a favore dei fossili anche allora fu notevole: dopo aver sbloccato, appena insediato nel gennaio 2017, il completamento di un oleodotto Keystone, per trasferire petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada alle raffinerie in Texas e accelerato la realizzazione di un altro oleodotto tra il Nord Dakota e l’Illinois, a marzo del 2017, con un ordine esecutivo rimosse l’obbligo di considerare impatti ambientali rilevanti gli effetti del cambiamento climatico, rimosse alcune limitazioni all’estrazione di gas con la fratturazione e sospese l’obbligo di ridurre del 30% le emissioni di carbonio degli impianti di produzione di energia elettrica, con l’idea di rilanciare anche l’uso del carbone.
Il 1° giugno 2017 Trump fece uscire gli USA dall’Accordo internazionale di Parigi sul clima, raggiunto nel 2015 alla COP21; nel gennaio 2018 varò un piano per rendere estraibile petrolio e gas dal mare al largo di circa il 90% delle coste americane.
Che impatto ha avuto sulle emissioni di CO2 negli Stati Uniti l’attivismo trumpiano pro-fossili durante la sua scorsa presidenza? Nel 2017 gli USA emettevano 5,21 Gt di CO2, salite di poco nel 2018, 5,38 Gt, per poi scendere di nuovo a 5,26 Gt nel 2019. Nel 2020, anche per la pandemia da Covid, le emissioni sono scese parecchio anche negli USA, a 4,47 Gt, per poi risalire nel 2021 a 4,77Gt (Fonte: IEA -WEO). Complessivamente fra il 2017 e il 2021, durante la prima presidenza Trump, le emissioni di CO2 negli USA sono diminuite di 440 milioni di tonnellate, pari a meno 8,4%.
Certo, ha pesato anche la pandemia da Covid, ma non solo. Il mix della produzione di energia elettrica in quel periodo è migliorato: la produzione di elettricità da fonte rinnovabile è cresciuta da 714 TWh nel 2017 a 874 TWh nel 2021, con un aumento di ben 160 TWh, il 22,4% in più, in soli 4 anni. È aumentata anche la produzione di elettricità delle centrali a gas, ma, nella stessa misura -circa il 25%- è fortemente diminuita quella generata dalle centrali a carbone (quella prodotta dalle centrali nucleari è calata del 3%).
Questi numeri suggeriscono qualche riflessione anche per la nuova presidenza Trump. È logico aspettarsi che mantenga lo stesso attivismo pro-fossili e contrario alle misure per il clima. Che ciò non sia positivo per il clima è ovvio. Ma sarà in grado, come dicono alcuni, di invertire la rotta, di far tornare indietro gli Stati Uniti a un forte aumento delle loro emissioni di gas serra? Non è da escludere a priori, ma a me pare più probabile che si ripeta quanto è già successo durante la scorsa presidenza. La crisi climatica è, infatti, reale e ineludibile: si sta aggravando, generando gravi impatti (eventi atmosferici estremi e incendi sempre più frequenti e sempre più devastanti) che colpiscono duramente parti importanti della popolazione, molte città e territori degli Stati Uniti.
Negli Usa, oltre al governo centrale del presidente, ci sono i governi dei diversi Stati e di numerose e importanti città che, più vicini ai territori sconvolti dalla crisi climatica, proseguiranno e aumenteranno il loro impegno. Anche nel mondo delle imprese una generale inversione di rotta anti-ecologica pare piuttosto difficile e improbabile. In questo mondo contano certo i multimiliardari, i grandi fondi d’investimento e quelli dei fossili, schierati con Trump, ma contano anche, e forse di più, moltissime imprese, di tutte le dimensioni e in molti settori, che guardano oltre la durata di una presidenza, che hanno iniziato a investire, spesso con successo, nella transizione energetica e climatica quale fattore di innovazione e di competitività e che non pensano affatto di poter prosperare in un mondo devastato dalla crisi climatica che considerano una sfida epocale, impegnativa, ma ineludibile.
Per non parlare di molti -non tutti, ma certo in tanti- cittadini americani che, anche a prescindere da come hanno votato, non sono disponibili a subire, contenti e senza reagire, l’aggravamento della crisi climatica e che, invece, anche con i loro comportamenti e i loro consumi, continueranno a sostenere la transizione ecologica e climatica. Trump si presenta come un presidente in grado di aprire una nuova era, ma, data la portata della transizione climatica ed ecologica in atto, è improbabile che riesca a fermarla diventando così l’ultimo presidente che resiste a un cambiamento inevitabile che proseguirà, nonostante lui e oltre lui, comunque, anche negli Stati Uniti.