Carbon capture e sequestration, al via il gruppo di lavoro della Fondazione

Venerdì 3 aprile si è tenuto, presso la Sala riunioni ICQ, in Via Ombrone 2/G, a Roma, il seminario del Forum delle imprese per lo sviluppo sostenibile intitolato "Carbon capture e sequestration: prospettive al 2020". 

Secondo Fedora Quattrocchi, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la CCS (Carbone capture and storage) è una “tecnologia ponte” necessaria per l’abbattimento rapido della Co2 industriale senza la quale non è possibile raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

Si tratta di una tecnologia in gradi di catturare i fumi di combustione delle centrali che vengono poi trasportati attraverso gasdotti nei luoghi di stoccaggio (siti geologici sotterranei o acquiferi salini).
Secondo la ricercatrice dell’Ingv con tre soli pozzi iniettori sarebbe possibile immagazzinare 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno – una quantità molto maggiore rispetto a quella che si potrebbe ottenere attraverso la riforestazione – mentre attraverso un acquifero salino di grandi dimensioni sarebbe possibile assorbire 500 milioni di tonnellate di Co2, ovvero la vita di tre grandi centrali a carbone.

E non esisterebbero problemi di entità rilevante in termini di sicurezza, la sfida da affrontare sarebbe invece quella degli investimenti economici necessari per realizzare gli impianti, ma secondo Quattrocchi più si fa ricerca e più sarà facile abbattere i costi.

Di parere assolutamente contrario Francesco Tedesco, di Greenpeace Italia, che giudica la CCS una falsa soluzione per il clima in quanto, attraverso di essa, non sarà possibile arginare il problema climatico. Si tratta, infatti, secondo Tedesco di una tecnologia estremamente costosa, assai energivora e oltretutto molto rischiosa, perché il confinamento sicuro della Co2 sottoterra non può essere garantito in nessun modo.

A sostegno della tesi di Greenpeace va detto che allo stato attuale esistono numerosi progetti di CCS in giro per il mondo, in modo particolare negli Stati Uniti – dove la cattura della Co2 è legata all’estrazione petrolifera – in Australia e Scandinavia, ma non esiste ancora una centrale in grado di compiere sia la cattura che il sequestro della Co2.

In Italia l’università di Roma Tre, con cui la Quattrocchi lavora, sta portando avanti un lavoro di catalogazione dei siti di stoccaggio, ovvero dove esiste roccia abbastanza spessa sotto gli 800 metri (il livello minimo per garantire uno stoccaggio sicuro).

La proposta della Quattrocchi, nel corso del seminario, è stata quella di istituire un gruppo di lavoro per lo sviluppo di questa tecnologia. Una proposta accettata dalla Fondazione che ha fisstato l’appuntamento per il mese di giugno quando presumibilmente si terrà il secondo incontro su questo tema.

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