Il 22 aprile 150 governi a New York per firmare l’Accordo di Parigi

L’Accordo di Parigi è stato adottato dopo anni di negoziati, quando 195 paesi hanno finalmente raggiunto un consenso su una serie di principi e obiettivi che vedono il cambiamento climatico limitato a “ben al di sotto” 2 °C e contenuto “con ogni sforzo” entro gli 1,5°C.Il colpo di martello di Fabius del 12 dicembre 2015 potrebbe aver dato l’impressione che il lavoro delle Nazioni Unite sia stato fatto. Ma l’adozione del testo di Parigi è stato solo il primo passo. Prima che l’Accordo entri in vigore, deve essere firmato e poi ratificato dai paesi che lo vogliono fare proprio.

La cerimonia della firma che si svolge il 22 Aprile può essere vistaancora come un passo intermedio. 155 Paesi parteciperanno alla cerimonia di New York, con circa 60 leader mondiali. Per gli assenti ciò non vuol dire abbandono: l’Accordo rimarrà aperto per le firme presso la sede delle Nazioni Unite per un anno dopo la cerimonia, fino al 21 aprile 2017. Sarà ancora possibile aderire alPatto di Parigi dopo tale data.

La ratifica dell’Accordo potrà invece assumere la forma di “accettazione, di approvazione o di adesione”, (art 21_1.), processi diversi che alla fine equivalgono alla ratifica (cfr. Glossario delle Nazioni Unite). I Paesi devono passare attraverso le proprie procedure costituzionali e legislative necessarie per ratificare l’Accordo. Questo,prima che possa entrare in vigore,deve essere ratificato da almeno 55 Paesi che rappresentano almeno il 55% del totale delle emissioni globali. Negli ultimi giorni di Parigi su questa soglia si è negoziato duramente.

L’accordo di Parigi è stata progettato anche per evitare la necessità di approvazione del Congresso negli Stati Uniti, quasi impossibile, dato il predominio attuale del partito repubblicano sia al Senato e alla Camera dei Rappresentanti. La ratifica degli Stati Uniti arriveràcon la firma; lo stesso accadrà per la Cina. Altre regioni, come l’Unione Europea, hanno processi burocratici più lunghi, e quindi la ratifica arriverà in seguito. Todd Stern, che ha negoziato l’accordo di Parigi per conto degli Stati Uniti, ha detto ai giornalisti nel mese di febbraio: “Un paese non deve firmare, se non ha intenzione di aderire. Può succedere: un paese potrebbe firmare quindi incontrare ostacoli e infine non aderire, ma non credo che qualcuno firmi senza l’intenzione di aderire. La firma quindi è un segnale, è un segnale molto positivo, che un paese sta per salire a bordo”.

Esaminando i precedenti storici la ratifica Parigi può sembrare non facile, a seguito degli accadimentidel Protocollo di Kyoto e dell’emendamento di Doha (Kyoto 2). Molti paesi hanno evitato la ratifica diKyoto per molti anni. Altri, come la Russia, l’hanno usata per guadagnare influenza politica. Altri hanno ratificato solo una volta chiarite tutte le regole. Kyoto 2, che ha fissato obiettivi climatici per il periodo 2013-2020, non è stato ancora ratificato da un numero di paesi sufficiente per entrare in vigore.

Christiana Figueres, segretario esecutivo della Convenzione, dice di credere che l’accordo entrerà in vigore entro il 2018 – cosa che potrebbe causare qualche imbarazzo, dal momento che erastato previsto che l’accordo avrebbe avuto inizio nel 2020. Lei dice: “in qualche modo chiuderemo tutti gli avvocati in una stanza e li obbligheremo a risolvere questa situazione”.

Difficoltà logistiche.
Questa non è l’unica difficoltà logistica creato da un’entrata in vigore potenzialmente rapida. A Parigi, i paesi hanno creato un fitto calendario di attività affidato adun gruppo battezzato “Ad Hoc Working Group sull’Accordo di Parigi” (APA), tra cui l’elaborazione di norme sulle caratteristiche degli impegni climatici, le linee guida per la trasparenzae i dati di input perl’inventario (Stocktake) globale. L’ONU ha anche preparato un elenco completo di ben 135 compiti da fare. Molte di queste attività devono essere implementate prima dell’entrata in vigore dell’Accordo e della conseguente chiusura formaledell’APA che, senza aver completato il proprio lavoro, verrebbe sostituita dalla “Conferenza delle Parti agente come Meeting delle parti dell’Accordo di Parigi” (CMA). Una recente nota informativa delle Nazioni Unite ha chiarito però che il problema non è insormontabile. Si lascerebbe all’APA il tempo di finire il suo lavoro, e, regolando il timing della CMA, si consentirebbe a quest’ultima di approvare le regole e le linee guida prodotte dall’APA.

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