Verso una maggiore consapevolezza del Capitale Naturale

di Giuseppe Dodaro

Tra le principali novità introdotte dalla Legge 221 del 28 dicembre 2015, recante Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali, meritano di essere evidenziate sia il formale riconoscimento del ruolo che i sistemi naturali rivestono – attraverso la fornitura di risorse e servizi essenziali – per la realizzazione dei processi economici ed il raggiungimento del benessere sociale, che la chiara sottolineatura della necessità di una loro appropriata quantificazione e valutazione, requisito indispensabile per una opportuna programmazione delle politiche economiche e finanziarie.

In questa ottica vanno inquadrati due importanti disposizioni previste dalla norma.

La prima (articolo 67) è rappresentata dalla istituzione – presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – del Comitato per il Capitale Naturale, del quale fanno parte dieci Ministri (tra cui quelli dell’Economia e delle Finanze, dello Sviluppo Economico, del Lavoro e delle politiche sociali), il Governatore della Banca d’Italia, rappresentanti degli Enti Locali (Regioni, Province autonome, Comuni) e dei principali Enti di ricerca, esperti della materia direttamente nominati dal Ministro dell’Ambiente.

Il Comitato dovrà svolgere due funzioni essenziali:

– redigere annualmente e trasmettere, entro il 28 febbraio, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Economia e delle Finanze un rapporto sullo stato del Capitale Naturale del Paese, corredato di informazioni e dati ambientali espressi in unità fisiche e monetarie, seguendo le metodologie definite dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e dall’Unione europea, nonché di valutazioni ex ante ed ex post degli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale e sui servizi ecosistemici;

– promuovere presso gli Enti Locali l’adozione di sistemi di contabilità ambientale e la realizzazione di bilanci ambientali finalizzati al monitoraggio del grado di attuazione delle politiche volte alla tutela dell’ambiente e alla valutazione della loro efficacia. Allo scopo definirà anche uno schema di riferimento, tenendo conto delle buone pratiche e delle esperienze di successo già realizzate a livello nazionale.

Si tratta di un provvedimento di carattere innovativo, che proietta l’Italia tra i pochi Paesi virtuosi che si sono dotati di un simile organismo, il cui compito, ambizioso e fortemente stimolante, dovrà essere quello di fornire agli organi governativi soluzioni moderne ed efficaci per lo sviluppo di una economia verde in grado di tutelare e valorizzare il Capitale Naturale partendo da una adeguata conoscenza e quantificazione dello stato delle risorse. Ovviamente l’effettiva rilevanza di questa attività dovrà essere vagliata negli anni a venire, in funzione della reale applicazione che tali indicazioni avranno nella formulazione delle strategie di programmazione e nella allocazione delle risorse. La speranza è che si segua l’esperienza consolidata del Natural Capital Commette inglese, le cui raccomandazioni sono state in gran parte accolte e sottoscritte attraverso un documento formale di impegno e lo stanziamento di finanziamenti specificamente dedicati.

La seconda disposizione di grande interesse è quella dell’articolo 70, laddove si prevede che il Governo adotti – entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica – uno o più decreti legislativi per l’introduzione di un sistema di pagamento dei servizi ecosistemici e ambientali (PSEA).

La necessità di mettere a punto meccanismi innovativi di finanziamento e sistemi di pagamento dei Servizi Ecosistemici è espressamente richiamata in diversi documenti della Commissione Europea – in particolare nella Comunicazione (2011) 244 – ed è stata affrontata negli ultimi anni in numerosi progetti di ricerca internazionali. Come espressamente dichiarato nel report di una delle principali iniziative dedicate a questo tema – The Economics of Ecosystems and Biodiversity (TEEB) – si tratta di un problema difficoltoso e per certi versi controverso. Ed è però necessario dare ai decisori, alle imprese, ai cittadini, maggiori informazioni affinché cresca la consapevolezza che il consumo di capitale naturale ha pesanti conseguenze ambientali – in termini di adattamento al cambiamento climatico – ma anche ingenti costi economici. Il TEEB ha stimato che ogni anno la perdita globale di Servizi Ecosistemici ha un valore di oltre 50 miliardi di euro e che nel 2050 potrebbe raggiungere i 14.000 miliardi di euro, pari a circa il 7% del prodotto globale (WWF Italia, 2015).

In questo contesto l’attenzione posta dalla Legge 221/2015 ai due temi correlati del Capitale Naturale e dei Servizi Ecosistemici è preziosa e spinge verso una prospettiva della Green Economy più ampia e integrata di quanto non sia stato finora in Italia, stimolando le imprese ad adottare un approccio sistemico che vada al di là dell’impegno tradizionale su settori circoscritti e le induca a sviluppare un rapporto più intenso e diretto con tutte le componenti del proprio territorio.

Il maggiore coinvolgimento del settore privato e la promozione di un ruolo attivo delle imprese nella tutela e valorizzazione del Capitale Naturale è un traguardo di grande interesse per la Commissione Europea, che al suo raggiungimento sta dedicando un forte impegno anche attraverso l’identificazione di specifici e innovativi strumenti finanziari.

Le imprese italiane sono pronte a cogliere queste opportunità?

I dati emersi da uno studio portato a termine nel 2015 dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile per conto del MATTM hanno evidenziato che proprio l’inadeguatezza dei meccanismi di mercato a realizzare una appropriata valorizzazione del capitale naturale e dei servizi ecosistemici, ha rappresentato l’ostacolo maggiore verso una corretta considerazione di questi valori da parte del settore produttivo.

Lo stimolo portato dalla nuova norma rappresenta dunque un’occasione per provare a superare queste barriere e muoversi verso un modello di green economy realmente completo e integrato, in grado di migliorare la performance ambientale delle imprese nazionali e incrementare la propria competitività su un mercato internazionale fortemente dinamico.

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