La nuova disciplina sugli ecoreati

di Stefano Leoni

Qualche giorno fa il Senato ha approvato il disegno di legge titolato “delitti contro l’ambiente”, più comunemente definita “legge sugli ecoreati”.

Di questa iniziativa se ne è molto discusso negli ultimi anni – il WWF ha dichiarato che era attesa da 18 anni -, ma per diversi motivi non era riuscita a terminare l’iter approvativo. Oggi se ne può parlare anche fuori dalle aule parlamentari.

Con l’entrata in vigore di questa novella il nostro ordinamento considera delitto l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, l’impedimento del controllo e sull’omessa bonifica. Vengono, inoltre, introdotte norme sulle aggravanti, sul ravvedimento operoso, sulla confisca, sul ripristino dello stato dei luoghi, nonché di armonizzazione con altre fattispecie penali e con le procedure procedurali e investigative già vigenti. Infine, si provvede a coordinare la disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia ambientale.

Per i comportamenti penalmente rilevanti classificati come delitti, le sanzioni edittali sono significative. Vanno da un minimo di 6 mesi (impedimento del controllo) e arrivano fino a 15 anni, che in caso di aggravanti possono superare i 20 anni di reclusione.

Come per ogni legge, anche questa è stata accompagnata da voci critiche, provenienti peraltro da posizioni fra loro ben distanti. Da una parte si è sostenuto che essa è figlia dell’idea secondo cui l’economia è il male, dall’altra che la terminologia utilizzata è così impropria da vanificarne la portata. Queste polemiche rischiano di far perdere il senso dell’importanza di questa legge. Quindi vale la pena scrivere due righe in proposito.

Il riconoscimento di fattispecie criminali delittuali che colpiscono l’ambiente permette agli investigatori di avere strumenti di indagine molto più efficaci per poter prevenire o interrompere azioni in danno all’ambiente. Questo risultato dovrebbe assicurare, dunque, una maggiore efficacia del nostro sistema di tutela ambientale.

Inoltre, per la prima volta nel diritto penale italiano vi è un riconoscimento di un’autonoma protezione del bene giuridico ambiente. La tutela dell’ambiente in sede penale, finora, è stata rimessa alla violazione di aspetti formali (carenza di autorizzazione, emissione oltre limite, abbandono di rifiuto, etcc …), senza dover accertare se si fosse verificatao meno una lesione sostanziale del bene protetto.

In questo modo, venivano considerati allo stesso livello comportamenti che, sebbene uguali, avrebbero potuto generare diverse conseguenze a carico dell’ambiente. Come ad esempio l’abbandono di rifiuti pericolosi, che in un caso possono generare un danno all’ambiente irreversibile e in un altro un danno inferiore o addirittura inesistente.

Tornando alle osservazioni critiche. Una delle maggiori contestazioni è rivolta all’uso di aggettivazioni, che di fatto limitano – per i più critici vanificherebbero – la portata della novella. Sanzionare comportamenti definiti abusivi – e non invece illeciti – avrebbe come esito quello di esimere dalla responsabilità i titolari di un’autorizzazione, laddove generino un danno all’ambiente in conseguenza dell’esercizio dell’attività autorizzata. Abusivo, infatti, sarebbe da intendersi solo colui che è del tutto carente di un titolo abilitativo.

Non mi sento di condividere tale timore per due motivi. Il primo che confido una intelligente interpretazione da parte della giurisprudenza. Il secondo si basa sul fatto che il nostro ordinamento considera abusive anche quelle ipotesi, in cui non siastato rispettato il titolo autorizzativo. Come ad esempio l’abuso edilizio, che si configura anche nei casi di mancato rispetto della licenza edificatoria.

Un’altra serie di rilievi mossi sulla terminologia riguarda la precondizione della significatività e misurabilità del deterioramento o compromissione di una matrice ambientale per la sussistenza del comportamento illecito. E’, in effetti, una terminologia insolitanel diritto e nel rito penale e potrebbe comportare difficoltà di comprendere quando ci si trovi o meno di fronte da un comportamento penalmente rilevante.Inoltre la misurazione e la definizione della significatività potrebbe richiedere tempi lunghi, con il rischio di prescrizione dei processi.

Ma non possiamo prescinderne. Infatti, questa terminologia è figlia di quella già adottata dalla disciplina – peraltro comunitaria – per il risarcimento del danno ambientale. La fattispecie penale, del resto, non avrebbe potuto ignorarequella che sostanzia le modalità di riparazione della lesione del bene giuridico ambiente. Una differente definizione avrebbe come conseguenza il fatto che una lesione penalmente rilevante dell’ambiente potrebbe non essere civilmente risarcibile.

In quest’ottica vanno lette anche le disposizioni inerenti il cosiddetto ravvedimento operoso. Infatti, poiché il bene giuridico ambiente appartiene allo Stato, le modalità riparatorie seguono procedure amministrative. Il ravvedimento operoso non potrà non sostanziarsi attraverso la disciplina dettata dagli artt. 300 e segg del decreto legislativo n. 152/06.Sotto questo profilo sarebbe stato necessario un maggior coordinamento tra le discipline, dal momento che la legge sugli ecoreati rimanda solo alle attività di bonifica disciplinate dagli artt. 239 e segg. dello stesso decreto.

In conclusione la nuova legge riempie un vuoto normativo, anche se esistono alcune ombre che possono inficiarne la portata. L’inasprimento del sistema sanzionatorio, tuttavia, non può essere considerato un punto di arrivo. L’introduzione di maggiori pene potrebbero non risultare sufficiente a prevenire danni all’ambiente e potrebbe addirittura avere un rigetto sociale se non viene accompagnata da convinte e solide politiche d’aiuto ai comparti produttivi – e più in generale la collettività – mirate ad agevolare la svolta verso un’economia green.

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