Green acts IX | introduzione:

di Fabrizio Vigni

Stiamo perdendo questa battaglia, perché non andiamo abbastanza veloci”. Il 2017 si chiude con le parole di Macron, che dal One Platet Summit ha lanciato l’allarme sui ritardi nella sfida dei cambiamenti climatici. Qualche settimana prima, a fine ottobre, UN Enviroment aveva messo in guardia sul grande divario tra gli impegni finora assunti dai paesi firmatari degli accordi di Parigi e la riduzione delle emissioni necessaria per contenere la variazione della temperatura entro i 2 gradi. Siamo ancora molto lontani dall’obiettivo di contenere entro due gradi l’aumento della temperatura, previsto dagli accordi di Parigi.

Siamo invece sulla traiettoria di 3,5 gradi. Non l’abbiamo già persa, la battaglia. Possiamo ancora farcela, ma solo se saremo in grado di darci obiettivi più ambiziosi e stringenti, accelerando la transizione ecologica.

Certo, ragioni per essere pessimisti non mancano. Tra queste, il disimpegno della amministrazione USA. La battuta di Schwarzenegger (“Non sono gli USA ad essere usciti dagli accordi di Parigi, è Donald Trump”) ha un fondamento di verità, visto che già 20 Stati federali, 110 città e 1400 grandi aziende americane hanno ribadito il loro impegno, ma è anche vero, purtroppo, che la decisione di Trump ha aperto una crepa negli accordi di Parigi. Pensiamo, inoltre, alla situazione della Cina, come ci ricorda nel suo editoriale Edo Ronchi. Secondo il Global Carbon Budget nel 2017, dopo tre anni di stabilità, le emissioni globali sono tornate a crescere del 2%, e la responsabilità maggiore sembra proprio della Cina, il cui trend di consumi di carbone e petrolio al 2030 è largamente fuori traiettoria rispetto agli accordi di Parigi.

D’altra parte, a motivare almeno un po’ di ottimismo, arrivano notizie di segno opposto. Ad esempio la proposta di un patto globale finanza-clima fatta da politici, imprenditori e intellettuali aderenti a Collectif Climate 2020, con l’obiettivo di assicurare finanziamenti adeguati alla transizione energetica.

La banca mondiale ha annunciato che dal 2019 cesserà di finanziare progetti nel petrolio e nel gas. I 225 più grossi investitori del mondo intendono chiudere i rubinetti alle imprese che emettono più CO2, condizionando i finanziamenti a una evoluzione verso modelli di produzione meno inquinanti. Nasce una coalizione di paesi e fondi sovrani per orientare gli investimenti verso l’azione climatica, e si parla di cifre che potrebbero raggiungere i 15mila miliardi di dollari nel 2020.

Una buona notizia è anche il recente voto del Parlamento europeo che fissa obiettivi ancora più ambiziosi per la transizione energetica: una riduzione dei consumi del 40% rispetto a quelli tendenziali entro il 2030, un incremento dal 27% al 35% delle rinnovabili nei consumi finali, almeno il 12% di rinnovabili nei trasporti.

In questo numero di Green acts, oltre alle consuete segnalazioni di buone pratiche e di attività della Fondazione, segnaliamo la presentazione dell’8° rapporto sull’Italia del riciclo. Un settore in forte crescita: oltre 7mila imprese, più di 130mila addetti, 56 milioni di tonnellate di rifiuti riciclati, un valore aggiunto di oltre 12 miliardi di euro, filiere di eccellenza che ci pongono ai primi posti in Europa.

E’ l’Italia che scommette sul futuro, così come quella della rigenerazione degli oli minerali usati e dell’uso della gomma riciclata da pneumatici nell’edilizia. E l’ormai imminente approvazione del pacchetto europeo sull’economia circolare potrà rappresentare per il nostro paese un ulteriore stimolo per l’efficienza nell’uso della materia e l’ecoinnovazione.

PS. Auguri ai lettori di Green Acts. Con la speranza che il 2018 sia un anno ancora più green.

 

Facebooktwitterlinkedinmail