Le prospettive del metano-biometano nel trasporto merci su strada

L’efficienza dei veicoli, il potenziamento dell’infrastruttura nazionale di dispacciamento di gas metano liquido (GNL) e le prospettive di sviluppo della filiera del biometano sono stati al centro del dibattito in occasione del convegno “Il futuro in Blue”, organizzato da LC3, azienda leader in Italia nella proposta di una logistica del trasporto merci pesante su strada con veicoli alimentati a metano liquido.Il trasporto delle merci in Italia sarà dominato ancora per molti anni dalla gomma, a causa dalla mancanza di una rete di via navigabili interne che caratterizza il nostro Paese e alla struttura degli spostamenti, oltre l’80% sotto i 150 km, incompatibile, da punto di vista economico e di sviluppo infrastrutturale, con un massiccio shift modale verso la ferrovia. A differenza delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri, la praticabilità della opzione elettrica nel trasporto pesante su gomma è ancora incerta. Come fare, allora, a intervenire su un settore, dominato da veicoli diesel, che in Italia è responsabile di circa 18,6 milioni di tonnellate di CO2, il 33% del totale delle emissioni nazionali di CO2 dei trasporti, il 39% degli NOX e il 22% del particolato?

Secondo i dati presentati nel corso del Convegno che si è tenuto venerdì 18 novembre a Gubbio, la diffusione di camion alimentati a GNL, già oggi economicamente sostenibili, porterebbe immediati vantaggi in termini di riduzione delle emissioni di ossidi di azoto e, soprattutto, di particolato. Per poter dare un contributo significativo anche in termini di emissioni di gas serra, questo processo dovrebbe essere accompagnato da una rapida diffusione del biometano. La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha presentato gli output di una prima simulazione, in attesa dei risultati di un ampio progetto di ricerca sul biometano che verrà presentato nel corso del 2017.

Se un quarto dei camion oggi circolanti fosse alimentato con biometano – ha dichiarato Andrea Barbabella responsabile Energia e Clima della Fondazione – si taglierebbero le emissioni dirette di CO2 di oltre 4 milioni di tonnellate e si ridurrebbero significativamente quelle di NOX e, soprattutto, di particolato”.  In una ipotesi del genere, ha aggiunto Barbabella, “sarebbero necessari circa 2 miliardi di m3 di biometano, che dovrebbero essere prodotti prioritariamente da rifiuti, liquami, reflui zootecnici e residui agricoli. Quello che mi pare sia emerso dal dibattito è che la tecnologia sembra essere oramai matura, i benefici ambientali ed economici sono potenzialmente rilevanti e le imprese italiane sono pronte a raccogliere la sfida”. E adesso non resta che aspettare – l’imminente? – pubblicazione del nuovo Decreto Biometano.

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