Haiti. Giustizia climatica?

di Toni Federico

Il passaggio dell’uragano Matthew ad Haiti, il 7 ottobre, ha lasciato dietro di sé, secondo le autorità locali, oltre 1000 morti, 60mila persone senza casa e il rischio di un’epidemia di colera sempre più realistico.

Nella traiettoria ha colpito Cuba e le Bahamas (nessuna vittima) e molto duramente la costa occidentale della Florida (almeno 15 morti e due milioni di abitazioni senza elettricità). In Florida e a Cuba fenomeni del genere vengono affrontati con la dovuta preparazione e capacità. Su Haiti l’uragano si è abbattuto facendo strage sulla popolazione più povera delle Americhe, poco più di 3$ al giorno di reddito medio procapite, totalmente inerme, completamente incapacitata socialmente ed economicamente, come già avevamo visto con il terremoto del 2010.

È partita, ad Haiti, una corsa contro il tempo, per evitare che il colera e altre malattie colpiscano specialmente tra i bambini che vivono nelle aree maggiormente colpite. Fiumi in piena, acque stagnanti e cadaveri umani e di animali sono un terreno perfetto per le malattie trasmesse dall’acqua. I primi morti di colera, endemico nell’isola, ci sono già, ma nessuno sa quanti se ne aggiungeranno a quelli provocati dall’uragano. Ci vorranno giorni o settimane perché si arrivi ai dati reali sulle vittime.

Qualcuno si vorrà intrattenere  a discutere se si sia trattato di un fenomeno nell’ordine naturale delle cose o dell’ennesima prova dell’aggravarsi dei fenomeni estremi dovuta al cambiamento climatico in atto. Dice Papa Francesco nella lettera enciclica “Laudato sì”: “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana”. Ma i fenomeni climatici sono apportatori di male in taluni casi, e questo male non è affatto comune a tutti. A poche miglia di distanza l’una dalle altre, popolazioni più ricche o più evolute hanno fronteggiato il medesimo uragano pagando un prezzo infinitamente minore. Questo ci deve dare il senso di quanto poco Haiti abbia avuto la sua parte di giustizia climatica e della potenza distruttrice del cocktail tra i fenomeni climatici in aggravamento e la miseria umana e sociale.

Dice ancora Francesco: “… è difficile non mettere il cambiamento climatico in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare”. E aggiunge: “Gli impatti più pesanti ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni connessi al clima e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela… Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera… Spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera marginale, quando non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto… Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri“.

Le regioni e i Paesi più poveri hanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impatto ambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processi necessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara la coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificate ed è opportuno puntare specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti… Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza”.

Abbiamo richiamato l’Enciclica di Francesco perché non crediamo siano possibili parole più semplici e dirette.

Dobbiamo ricordare che Haiti non è sempre stata così tanto povera o irrilevante rispetto ai paesi vicini, ma la sua storia è travagliata oltre ogni misura dagli interessi coloniali della Francia (ad Haiti si parla Francese), degli spagnoli e degli inglesi. Più di recente è stata ripetutamente occupata dagli Stati Uniti. Fu il primo paese americano, dopo gli Stati Uniti, a dichiarare nel 1804 l’indipendenza dalla madrepatria e fu anche il primo ad abolire la schiavitù nel 1794, per poi sostenere ovunque l’abolizionismo nelle colonie americane, anche offrendo rifugio a Simon Bolivar, alla condizione che avrebbe poi abolito la schiavitù. La sua popolazione a maggioranza nera o mulatta fu soggetta ad isolamento da parte delle potenze coloniali e la sua economia deperì progressivamente. Nel 1915, infine, gli Stati Uniti occuparono Haiti dove sono restati fino al 1934. Nel 1957 va al potere Duvalier, un dittatore noto per la sua ferocia, seguito dal figlio fino a che, per opera di Giovanni Paolo II, nel 1983, la dittatura viene terminata lasciando il paese nel disastro. Il primo presidente democraticamente eletto è del 1991 ma gli Stati Uniti non hanno mai rinunciato alla tutela del paese anche servendosi di giunte militari feroci e dell’occupazione di Port au Prince del 2004.

Oggi è sotto gli occhi di tutti che al seguito di questa vicenda c’è solo la miseria di un paese distrutto con una struttura sociale totalmente incapacitata. Sul terreno ci sono le Nazioni Unite che con i volontari delle NGO fanno quello che possono.

Il governo di Haiti ha ratificato l’Accordo di Parigi sul Clima tra i primi, nell’aprile del 2016.

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