Protocollo di Kyoto, l’Italia ce la può fare

A quattro anni di distanza dall'approvazione del Protocollo di Kyoto è tempo di bilanci per l'Italia e per chi credeva che gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera fossero una chimera, ecco una bella sorpresa: il nostro Paese, infatti, ce la può fare a rispettare gli impegni presi in sede internazionale.

E’ quanto è emerso stamattina a Roma nel corso della conferenza stampa di presentazione del Dossier Kyoto realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “Dal 2005 il trend in Italia è cambiato” ha dichiarato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e firmatario del Protocollo di Kyoto “al 2012 potremmo essere molto vicini all’obiettivo di Kyoto (a -5,4%, rispetto all’obiettivo di -6,5%). Ciò cambia anche il quadro per gli obiettivi europei di riduzione al 2020: un quadro praticabile per l’Italia, anche se restano molto impegnativi gli obiettivi di incremento delle rinnovabili e dell’efficienza energetica”.

Nel 2007 e nella prima metà del 2008 questa tendenza è stata rafforzata dal consistente aumento del prezzo del petrolio. Alla fine del 2008 invece è arrivata la crisi e il petrolio è calato, ma sono calati anche i consumi di energia.

“Sulla base dei dati legati ai consumi energetici (sia a livello industriale che non) abbiamo elaborato una stima delle emissioni di gas serra nel 2008 pari a 550 milioni di tonnellate” ha detto Ronchi. “È una stima che possiamo ritenere approssimata per eccesso, in quanto prevede per il 2008 meno di metà della riduzione delle emissioni verificatasi durante l’anno precedente, con una riduzione di sole 5,8 milioni di tonnellate rispetto al 2007”.

“Nel 2009 le emissioni prevedibilmente continueranno a diminuire” ha aggiunto Ronchi “Le proiezioni che prevedevano continue crescite delle emissioni di CO2 in Italia sono risultate infondate anche se per raggiungere gli obiettivi al 2012 occorre uno sforzo aggiuntivo”.

A livello internazionale il Dossier Kyoto mostra come l’Europa sia sulla buona strada per centrare i target fissati nel 2005. L’obiettivo è di ridurre le emissioni dell’8% come media del periodo 2008-2012 e “applicando i meccanismi previsti dal Protocollo” dice Ronchi “nel 2012 lo supererà addirittura, raggiungendo una riduzione dell’11,3%”.

Nel corso degli anni però gli scenari internazionali sono mutati. Nel 1992 infatti i Paesi che con il Protocollo di Kyoto avevano impegni di riduzione rappresentavano il 62% delle emissioni mondiali, mentre oggi raggiungono a malapena il 47%. La spiegazione va ricercata nella crescita industriale fatta registrare negli ultimi anni da Paesi come India e Cina. Perciò nonostante l’impegno dell’Unione Europea le emissioni mondiali di CO2 sono aumentate da 20,95 miliardi di tonnellate nel 1990 a 27,89 miliardi nel 2006: un incremento notevole, che sfiora i 7 miliardi di tonnellate, facendo aumentare di un terzo le emissioni mondiali in soli 16 anni. Un incremento che va imputato
ai Paesi OCSE, e fra questi alla crescita delle emissioni degli Stati Uniti, e ai Paesi di nuova industrializzazione, e fra questa alla fortissima crescita delle emissioni della Cina.

Per questioni legate alle emissioni storiche e a quelle procapite (ancora nettamente più basse quelle dei paesi in via di sviluppo) “gli impegni di riduzione dovrebbero restare maggiori per i Paesi più industrializzati” dice Ronchi “ma sarà indispensabile, per mitigare la crisi climatica, associare anche i Paesi di nuova industrializzazione, a partire dalla Cina che ha ormai superato le emissioni degli Stati Uniti”.

“Questa è solo una delle cause che hanno determinato l’insuccesso del Protocollo di Kyoto” prosegue Ronchi. “I Trattati internazionali ambientali non dispongono infatti di strumenti di operatività, di controllo e di sanzioni efficaci. I Paesi che non ne rispettano gli obiettivi saranno richiamati ufficialmente, la loro inadempienza sarà resa nota, ma non avranno obblighi di alcun genere. L’acquisto dei diritti di emissione, il ricorso ai meccanismi flessibili, alla resa dei fatti sono più possibilità che obblighi, in mancanza di sanzioni efficaci del Protocollo”.

“La mancata adesione degli Usa al Protocollo di Kyoto è un altro fattore fondamentale che ha determinato questo insuccesso” continua Ronchi “Gli Stati Uniti anziché ridurre le loro emissioni, nel 2006 le hanno aumentate del 16% rispetto al 1990. Inoltre il diniego dell’amministrazione Bush nei confronti del Protocollo ha fornito un forte argomento ai Paesi di nuova industrializzazione per non frenare le loro emissioni”.

Per la nuova fase, quella del dopo Kyoto, per la quale rivestirà un ruolo fondamentale la conferenza di Copenhagen del prossimo dicembre, occorre prestare molta più attenzione a un tema fino ad ora trascurato: la governance globale dell’ambiente. “Anche se, con l’elezione del Presidente Obama, favorevole a un impegno per il clima” conclude Ronchi “le aspettative sono radicalmente migliorate”.

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